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Blitz contro i giornalisti. Così la Cina festeggia 100 anni di comunismo

Arrestati i dirigenti del tabloid Apple Daily a Hong Kong. Il fondatore Lai già in cella da mesi

Blitz contro i giornalisti. Così la Cina festeggia 100 anni di comunismo

Qualche anno fa, in una bottega di cose vecchie di Wuhan città in seguito diventata famosa nel mondo per brutte e oscure vicende per cui paghiamo tuttora un carissimo prezzo chi scrive si era imbattuto in un oggetto incredibile che ancora si pente di non aver acquistato (costava troppo). Era un album simile a quelli nostri delle figurine dei calciatori, ma con due caratteristiche assai particolari: i personaggi da collezionare erano i leader del Partito comunista cinese, e le loro immagini erano incasellate entro piccole cornici dentellate in oro almeno così giurava il venditore. Il ritratto di gran lunga più importante, che occupava sfolgorante una pagina intera, era quello di Mao Zedong, il «Grande Timoniere della Rivoluzione». Che Mao fosse stato un mostro con circa 50 milioni di morti cinesi sulla coscienza (tra «nemici del popolo» fucilati e vittime della carestia) poco importava: il suo status semidivino appariva evidente, e lo è tutt'oggi in ogni angolo della Cina Taiwan esclusa.

Il prossimo 1° luglio il partito comunista cinese festeggerà il secolo della sua fondazione. Lo farà in grandissimo stile, scatenando in patria e all'estero la propaganda in cui è maestro. Ne è un esempio la recente sequenza di successi nell'esplorazione spaziale cinese missione sull'altra faccia della Luna e poi su Marte - culminata un paio di giorni fa con il primo invio in orbita di tre astronauti diretti al Palazzo Celeste, come è stata pomposamente battezzata la nuova stazione spaziale di Pechino ancora in fase di completamento. La commistione tra rivoluzionario e divino è voluta ed evidente nei nomi scelti per la missione: il razzo che ha spedito in orbita l'equipaggio si chiama Lunga Marcia (omaggio al Partito e a Mao), mentre la navetta nientemeno che Vascello Divino.

Il 1° luglio a Pechino un altro personaggio di rango superumano sarà il protagonista delle celebrazioni dei trionfi del comunismo cinese: il suo segretario generale Xi Jinping, assurto negli anni a un ruolo di leader assoluto quale non si vedeva appunto dai tempi di Mao, che è morto nel 1976. Un'altra trionfalistica parata quella del 1° ottobre 2019 che celebrava i 70 anni della Repubblica Popolare Cinese era stata in parte guastata dalle proteste antiregime in corso a Hong Kong, ma nel frattempo Xi ha risolto il problema a modo suo: un anno fa, nella ex colonia è stata introdotta una «legge sulla sicurezza» che ha fatto piazza pulita di qualsiasi voce di opposizione, spedendo anche in galera coraggiosi leader come il giovane Joshua Wong. Stavolta, dunque, nessuno disturberà il Grande Manovratore, e sarà via libera agli slogan trionfalistici che giustificano l'imposizione in Cina di uno Stato poliziesco alla Orwell.

Il più volentieri speso di questi slogan trova convinti estimatori anche nel nostro Paese, come sappiamo: è quello dei 700 (o 800, dipende dall'estro del laudatore) milioni di cinesi sottratti alla povertà grazie al loro partito comunista. Eppure, sarebbe più corretto ricordare come ben hanno fatto nel loro recente libro La mano invisibile i ricercatori Clive Hamilton e Mareike Ohlberg - che per almeno trent'anni fu proprio il partito comunista a mantenere centinaia di milioni di cinesi in miseria con le sue politiche sciagurate, salvo poi gradualmente liberarli da quel dramma concedendo loro alcune delle libertà di cui godiamo noi occidentali: quelle di avere delle proprietà, di avviare un'impresa privata, di cambiare lavoro e di trasferire la propria residenza.

Altre libertà, in Cina, rimangono un miraggio. E ce lo conferma l'arresto appena avvenuto a Hong Kong di cinque dirigenti del tabloid di opposizione Apple Daily, il cui fondatore Jimmy Lai è già da mesi in prigione.

Quel che resta della libertà di stampa a Hong Kong è ormai appeso a un filo, e a Pechino e purtroppo non solo lì si festeggia.

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