Il bluff dei test sierologici: l'82 per cento di falsi negativi

Non convince la sperimentazione dei kit rapidi sugli anticorpi al San Matteo di Pavia. La ricerca continua

Il bluff dei test sierologici: l'82 per cento di falsi negativi

L'affannosa ricerca del kit sierologico continua. Anche se molte regioni si sono attrezzate e hanno cominciato a fare test rapidi soprattutto nel mondo ospedaliero, la Lombardia aspetta a partire. Frenata doverosa dopo i resoconti poco incoraggianti che arrivano dal Policlinico San Matteo di Pavia, dove è il corso la validazione di decine di test rapidi sierologici, che verificano la presenza di anticorpi sviluppati dopo aver contratto il coronavirus. Molti di questi test sono già stati testati su una trentina di persone guarite che dunque avrebbero dovuto sviluppare gli anticorpi. E in questa ricerca almeno uno di questi test rapidi ha dato un risultato pericoloso: l'82% di falsi negativi. Una doccia fredda per le aziende che li producono e li propongono a ospedali e a laboratori privati. Il rischio altissimo è quello di ricevere un attestato di falso negativo, cioè la persona si illude di essere immune mentre non lo è.

Ma i test rapidi sono il cuore della «Fase 2», quando il virus rallenterà e sarà necessario ripartire. E tra un mese la ripresa passerà necessariamente anche attraverso test più rapidi e più capillari. Ne è consapevole anche il Comitato tecnico-scientifico da cui si aspettano risposte: «Stiamo valutando alcuni test sierologici per la validazione spiega il presidente del Consiglio Superiore di Sanità, Franco Locatelli - vorrei chiarire però che non servono per la diagnosi di infezione, ma per definire la sieroprevalenza. I tempi per la validazione saranno certamente brevi, pochi giorni. Ma è importante che la celerità corrisponda ad un rigore nella valutazione della sensibilità e specificità. Bisogna evitare falsi positivi e falsi negativi».

Altra nota arriva in serata. Dal ministero della Salute in cui precisano che «i test sierologici sono molto importanti nella ricerca e nella valutazione epidemiologica della circolazione virale» ma «necessitano di ulteriori evidenze sulle loro performance e utilità operativa». In particolare, «i test rapidi basati sull'identificazione di anticorpi IgM e IgG non possono, allo stato attuale dell'evoluzione tecnologica, sostituire il test molecolare basato sull'identificazione di Rna virale dai tamponi nasofaringei».

Tante precisazioni dal ministero e una novità: sì ai prelievi da laboratori mobili o drive-in clinic, i campioni a finestrino aperto. E l'esecuzione del test diagnostico va riservata prioritariamente ai casi clinici sintomatici (anche con pochi sintomi) e ai contatti a rischio, focalizzando l'identificazione dei contatti a rischio nelle 48 ore precedenti all'inizio della sintomatologia: «Per garantire la sua efficacia il test dev'essere tempestivo». L'esecuzione dei test va assicurata agli operatori sanitari e nelle Rsa.

Ma gli enti locali vanno avanti. Nelle Marche sono stati avviati screening sierologici negli ospedali. «La dimensione di questa epidemia è molto ampia dice il presidente della Regione Luca Ceriscioli - e occorre adeguare molto, molto velocemente la risposta sanitaria all'evoluzione delle condizioni».

Anche in Liguria hanno preso il via i test su un campione di 2.

400 donatori tra i 18 e gli 80 anni per stimare la circolazione dei virus tra la popolazione, analizzando anche prelievi di sangue già donati a partire dal dicembre scorso. Il progetto, approvato anche dal Comitato etico regionale, «ci farà capire - ha spiegato il presidente Giovanni Toti - se il virus abbia iniziato a circolare in Liguria fin da dicembre».

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