Borse e orologi, se la griffe adesso diventa arma politica

L'esibizione di oggetti di lusso scatena invidia sui social e diventa motivo di delegittimazione

di Sabrina Cottone

N on per prenderla alla lontana ma fare il bene con una tunica senza cuciture, seduti alla mensa dei ricchi, o coperti di peli di cammello, è una vexata quaestio sin dai primi ascoltatori del Vangelo. E se dare da mangiare agli affamati, da bere agli assetati e accogliere i forestieri sono indubbiamente opere di misericordia, resta da chiarire se avere un Rolex al polso o una Vuitton a spalla bastino per essere zittiti quando si compie un atto di carità o si fa da sponsor a iniziative benefiche.

È un dibattito che appassiona i politici nostrani e i loro fan (e detrattori). Essere griffati è un peccato mortale che impedisce di indossare una simbolica maglietta rossa, come proposto da Libera, «per «#fermare l'emorragia di umanità» e «per un'accoglienza capace di coniugare sicurezza e solidarietà»? A giudicare dagli attacchi a Gad Lerner, reo di camicia porpora e Rolex, parrebbe di sì.

Inutile dire che sono più credibili don Ciotti con gli emarginati o don Colmegna con gli «sprovveduti» o don Rigoldi con i carcerati, per limitarsi ai tre «preti di strada» non a caso laureati ad honorem in Comunicazione pubblica all'Università Statale di Milano, ma di questo passo se non sei madre Teresa o san Giuseppe Moscati, sei condannato a dissipare talenti e fortune in lauti banchetti e cause perse o perverse.

Guai se firmi un appello per gli ultimi o fai una donazione e ti fai sorprendere con un Vacheron Constantin come quello una volta contestato a Berlusconi o partecipi a una serata di beneficenza con un accessorio Prada o Bottega Veneta stile Letizia Moratti. Scelte che semmai ciascuno può vedersi con la propria coscienza, il padre spirituale, lo psicologo, il conto in banca, il marito o la moglie. Se li ha.

Poiché chi di griffe ferisce di griffe perisce, nella battaglia in cui il sesso debole è veramente più debole è caduta Giorgia Meloni, che in canotta azzurra lanciava un appello «per i 5 milioni di italiani sotto la soglia di povertà». Subito è stata pizzicata alla Camera con una Vuitton sul banco e apostrofata su Twitter con un irridente «Rolex è radical chic, borsa Louis Vuitton è popolo». Attacchi noti. Daniela Santanchè, per gli outfit grintosi e costosi e la passione per stiletti, stivali e per la Birkin, ha aperto la strada alle politiche più bersagliate.

Se per par condicio non si può dimenticare la fotopersecuzione social alle scelte poco pauperistiche di Maria Elena Boschi, per la parità tra i sessi come archiviare i raffinati cachemire del comunista Fausto Bertinotti, le scarpe fatte a mano di D'Alema o il giubbotto di pelle di Renzi? Più recente e fragoroso il colpo di stile del

vicepremier Luigi Di Maio. «Come fa Giggino, con 3mila euro al mese, a pagarsi gli abiti di Cenci? Costano il doppio!» ulula un castgatore di costumi sui social. Nell'era della trasparenza internet, ai populisti è vietata la sartoria.

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