«Ho pagato tutti i partiti». Parla Luca Parnasi, e questa volta le sue parole non sono rubate da intercettazioni ambientali o telefoniche, non sono «vanterie» confidate a un collaboratore e poi finite agli atti dell'inchiesta sullo stadio della Roma. Sono quelle riversate a verbale nell'interrogatorio-fiume, iniziato nel carcere romano di Rebibbia mercoledì pomeriggio, proseguito fino a tarda sera e poi ancora ieri mattina. Undici ore complessive, nelle quali il costruttore romano ha scelto di aprire i rubinetti e di collaborare con i magistrati, raccontato la sua versione e ammettendo quanto ipotizzato dai pm della procura capitolina Paolo Ielo e Barbara Zuin. In fondo, Parnasi era appunto quello pizzicato dai microfoni degli inquirenti mentre si sfogava con il suo dipendente Gianluca Talone, a margine delle indicazioni per i pagamenti destinati alla politica da fare in modo «precisissimo», affermando che «il governo lo sto a fare io». E ieri, dietro le sbarre, incontrando le due toghe che lo hanno arrestato, il costruttore avrebbe confermato di aver largheggiato nelle elargizioni di denaro e regalie verso rappresentanti politici e movimenti di ogni colore ed estrazione, finanziando partiti, individui, fondazioni e movimenti politici, il tutto per oliare la strada del progetto dello stadio, evitare ostacoli e aggirare contrarietà per rendere l'iter più scorrevole e privo di intoppi.
Di questi passaggi di denaro alcuni, già emersi con le indagini, sono stati spiegati e illustrati nel dettaglio. Si tratta di somme in chiaro, per le quali Parnasi avrebbe chiarito scopo e significato. E il costruttore avrebbe pure indicato altri soggetti e altri movimenti finanziari, al centro dei prossimi accertamenti di pm e investigatori, dando un senso pieno alla richiesta di interrogatorio, avanzata dallo stesso Parnasi ai pm attraverso i suoi legali, Emilio Ricci e Giorgio Tamburrini, e volto a chiarire quello che i magistrati capitolini hanno ribattezzato «sistema Parnasi». Il costruttore avrebbe versato anche contributi che gli stessi pm allo stato ritengono leciti, però si indaga ancora sui soldi bonificati a una fondazione vicina alla Lega - versamenti dei quali Parnasi parla anche nelle intercettazioni e sui quali è tornato nel faccia a faccia di ieri - come pure sui 15mila euro erogati a favore della fondazione Eyu, guidata dal tesoriere del Pd, Francesco Bonifazi.
Parnasi avrebbe «chiarito», come dicono i suoi avvocati. E nel lunghissimo interrogatorio avrebbe confermato che pagava la politica per aggirare possibili intoppi di natura burocratica e incassare autorizzazioni e via libera, per velocizzare l'iter amministrativo di determinate procedure, per oliare i rapporti e accreditarsi nel Palazzo in vista di futuri progetti imprenditoriali, nella capitale e non solo.
Ma i pm hanno chiesto a Parnasi anche dettagli sul rapporto con Luca Lanzalone, il «consulente di fatto» del Campidoglio dell'amministrazione pentastellata sul quale i pm vogliono cristallizzare il ruolo da «pubblico ufficiale», che lo stesso Lanzalone, interrogato, ha smentito, sostenendo di essersi disinteressato della questione stadio da marzo 2017. Prima di Parnasi, a confermare un ruolo chiave di Lanzalone erano stati il dg della Roma, Mauro Baldissoni, ascoltato come teste, e Luca Caporilli, consulente della società di Parnasi, Euronova.
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