Politica

«Campi profughi come lager» Perché stavolta il Papa esagera

Dura liturgia del Pontefice che attacca (a sproposito): «Il Nord dovrebbe imparare dalla generosità del Sud»

di Giannino della Frattina

«I campi profughi sono come i campi di concentramento». Mancava solo l'ultima uscita di papa Francesco per rendere se possibile ancor più esplosiva una situazione che sembra essere sempre più fuori controllo. Sono «troppi» secondo il Pontefice che ne ha parlato ieri a braccio durante la Liturgia della Parola nella Basilica di San Bartolomeo all'Isola Tiberina in memoria dei «Nuovi Martiri del XX e XXI secolo». E ricordando migrazioni che senza intervento sembrano ormai destinate a diventare bibliche, ha elogiato «i popoli generosi che accolgono e debbono portare avanti da soli questo peso», mentre «gli accordi internazionali sembrano più importanti dei diritti umani». Come se non fossero proprio gli accordi internazionali l'unica speranza di mettere un argine a una tragedia che colpisce prima di tutto chi per disperazione è costretto ad abbandonare famiglia e Paese di nascita. E come se il tentativo della comunità internazionale di organizzare gli aiuti e combattere il terrorismo proprio in quelle terre martoriate, non appaia al momento l'unico intervento possibile per evitare la destabilizzazione dell'intero pianeta.

Ma non si è fermato qui Papa Francesco, pronto a regalare una ricetta prêt-à-porter a governi e amministratori. Basterebbe, ha assicurato, che ogni municipio ospitasse due migranti e ci sarebbe spazio per tutti, ha sentenziato dopo aver forse registrato il fallimento della sua richiesta di qualche tempo fa, perché fosse ogni parrocchia ad accogliere due extracomunitari. Richiesta vana, impegno disatteso dai parroci forse in attesa che qualche migrante sia intanto ospitato all'interno delle solide e ricche mura della Città del Vaticano.

Ancor più discutibile, con tutto il rispetto per l'autorità papale, la speranza espressa sempre ieri sull'Isola Tiberina «che la generosità del Sud, dalla Sicilia a Lesbo, possa contagiare un po' il Nord». Affermazione quantomeno ingiusta verso regioni come la Lombardia e il Veneto che dell'accoglienza di profughi (e soprattutto immigrati irregolari) hanno fatto un impegno titanico. O verso una città come Milano diventata, vista la sua organizzazione e il proverbiale cuore in mano, la Lampedusa senza il mare. Il punto di approdo di migliaia di profughi e immigrati che arrivano alla Stazione Centrale sperando di essere accuditi dignitosamente. Il tutto, nel caso di Milano ma anche degli altri Comuni del Nord, senza nessun aiuto dello Stato. La cui ultima preoccupazione, per mano dei prefetti, è convincere (o meglio costringere) i sindaci ad accollarsi sempre maggiori quote di extracomunitari, togliendo così inevitabilmente risorse ai servizi sociali destinati alle famiglie già in grave difficoltà. O magari agli interventi in quei quartieri di case popolari come San Siro a Milano, diventati quelli sì un vero campo di concentramento per gli italiani che sono costretti a viverci in condizioni disperate.

Taglieggiati, angariati e minacciati ogni giorno dal racket degli extracomunitari che ne hanno fatto i loro fortini di droga e violenza.

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