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Per la cancel culture anche greci e latini sono razzisti

I classici greci e latini? Sono serviti all'uomo bianco per imporre il suo dominio ai danni delle altre minoranze. È l'ultimo folle delirio della cancel culture

Per la cancel culture anche greci e latini sono razzisti

Dopo le statue e i monumenti, ora la cancel culture se la prende con gli studi classici. È possibile salvare i classici greci e latini dalla "whiteness" (bianchezza), ossia dal dominio dei bianchi sui neri? È la domanda che si pone il New York Times parlando di Dan-el Padilla Peralta, professore associato di classici a Princeton che ricerca e insegna la Repubblica Romana e il primo Impero, e di altri docenti statunitensi che vogliono ridiscutere il ruolo dei greci e dei latini nelle scuole e nelle università nel nome del politicamente corretto. Padilla, nato nella Repubblica Dominicana ed emigrato negli Stati Uniti, sostiene, insieme ad altri accademici progressisti, che i classici dovrebbero un giorno essere rimossi dai programmi universitari in quanto sono così "invischiati nella supremazia bianca da essere inseparabili da essa". Padilla va oltre e afferma che gli studi classici sono ostili alle minoranze. "Se si volesse pensare a una disciplina i cui organi istituzionali fossero esplicitamente volti a disconoscere lo status legittimo degli studiosi del colore", ha detto al New York Times, "non si potrebbe fare di meglio di ciò che hanno fatto i classici".

La scorsa estate, dopo che la Princeton ha deciso di rimuovere il nome del presidente Woodrow Wilson dalla sua School of Public and International Affairs, Padilla ha scritto una lettera aperta all'ateneo chiedendo di fare di più. "Chiediamo all'università di amplificare il suo impegno nei confronti dei neri", si legge, "e di diventare, per la prima volta nella sua storia, un'istituzione antirazzista". Esaminando il danno fatto da persone che rivendicano la tradizione classica, sostiene Padilla, si può solo concludere che i classici sono stati strumentali all'invenzione del "bianco" e al suo continuo dominio. Negli ultimi anni, alcuni studiosi che la pensano allo stesso modo si sono riuniti per "dissipare miti dannosi sull'antichità". Sui social media e in articoli pubblicati su riviste, hanno spiegato che contrariamente alla "propaganda di destra", i greci e i romani non si consideravano "bianchi". Sottolineano inoltre che ad Atene, celebrata come la culla della democrazia, la partecipazione alla politica era limitata ai cittadini maschi; migliaia di persone erano ridotte in schiavitù e lavoravano e morivano nelle miniere d'argento a sud della città, e l'usanza imponeva che le donne non potessero lasciare la casa se non velate e accompagnate da un parente maschio.

Insomma, Dan-el Padilla Peralta non è così convinto che lo studio dei classici meriti un futuro. Con la consueta dose di vittimismo e cultura del piagnisteo, l'ultima folle crociata della cancel culture pretende di applicare i criteri etici contemporanei al passato, arrivando persino ai tempi di greci e romani. Ossessione che, inevitabilmente, si accompagna a quel tipico fondamentalismo che vuole spazzare via la storia e la cultura. Se un tempo gli intellettuali della sinistra radicale si spendevano per la lotta di classe, oggi è il rispetto delle minoranze a dominare le loro ossessioni. Fino a voler archiviare le materie che loro stessi insegnano agli studenti. Come nota Rich Lowry su National Review, "è raro trovare altri esempi di studiosi così consumati dall'odio per le proprie discipline da voler letteralmente distruggerle dall'interno. Al contrario, i dipartimenti universitari sono pieni di accademici ansiosi che credono che i loro studi siano lacerati dal sessismo, dal razzismo e dall'omofobia.

Sarebbero perfettamente disposti a distruggere le proprie facoltà per dimostrare la loro virtù".

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