Putiniano ma anche atlantista filo Trump, ma anche ammiratore della Corea del Nord perché «è pulita e non c'è criminalità», ma anche in sintonia con il nazionalista polacco Jarosaw Kaczynski che però detesta Putin, ma anche supporter dei separatisti catalani, ma anche sponsor politico del sottosegretario Michele Geraci, tessitore dell'asse italiano con la Cina visto con grande sospetto dagli Usa di Trump. La spy story estiva dei «rubli alla Lega» eccita i cultori della pista russa e dei presunti patti segreti tra Cremlino e via Bellerio, in realtà la politica estera di Salvini è molto più sgangherata e si muove su fronti diversi non sempre coerenti tra loro. Il motivo è che il leader leghista non si è mai occupato molto di questioni internazionali (le lingue straniere poi non sono il suo forte), anche da eurodeputato la sua attività era rivolta solo alla politica italiana, quando non a quella milanese come consigliere comunale. Il dossier estero è stato delegato a figure di secondo piano, spesso neppure leghisti di lungo corso ma transfughi di altri partiti, gente che poteva vantare qualche contatto fuori dall'Italia e procurare un meeting con qualche leader straniero. Senza una vera rete internazionale e senza una strategia precisa su come muoversi sullo scacchiere internazionale. Tant'è vero che Mosca considera i leghisti troppo succubi di Washington e viceversa gli Usa nutrono dubbi sulle simpatie putiniane di Salvini (in tema di sanzioni Ue, ad esempio).
Così in questa diplomazia à la carte, ci si affida un po' a chi capita per girare il mondo e twittare grandi alleanze mondiali. Antonio Razzi è stato il tramite per far scoprire a segretario della Lega il fascino nascosto del regime di Kim Jong-un, l'ex forzista eletto all'estero Gugliemo Picchi lo ha introdotto nell'entourage di Donald Trump, l'ex grillino Marco Zanni tiene i rapporti con i partiti sovranisti euroscettici a Bruxelles, il leghista italo-brasiliano Luis Roberto Lorenzato lo ha messo in contatto con il figlio di Bolsonaro, il presidente conservatore carioca. L'unico leghista doc che ha fatto questo lavoro in passato è stato Lorenzo Fontana, da europarlamentare, non a caso promosso a ministro per gli affari Ue. Ora che è vicepremier e ministro, Salvini ha un canale diplomatico aperto tramite le ambasciate, per cui viene ricevuto a Washington da pezzi da novanta dell'amministrazione Trump, come il segretario di Stato Mike Pompeo e il vicepresidente Mike Pence, come è successo nella missione Usa il mese scorso («Siamo il partner più attendibile degli Usa») e com'è normale che sia per un rappresentante di governo in visita ufficiale. Da semplice leader della Lega, all'opposizione, Salvini aveva invece fatto una discreta fatica per ottenere una foto con Donald Trump allora candidato repubblicano alla Casa Bianca, che poi in una intervista smentì l'incontro - disse «non ho voluto incontrarlo» e di «non avere neppure conosciuto» Salvini - alimentando un piccolo giallo (in realtà il faccia a faccia era documentato da foto e scambi di mail).
Con la svolta nazionalista anti-euro, negli ultimi anni, arrivò anche l'idea di fare fronte comune con i partiti della destra euroscettica europea. In primis Marine Le Pen, poi i tedeschi di Alternative für Deutschland, che a Pontida mandano sempre un loro esponente in trasferta, poi l'austriaco Christian Strache (della FPÖ) che però si è dovuto dimettere da vicecancelliere, l'olandese Geert Wilders (PVV) che però si è sgonfiato nelle urne. Il sogno di Salvini di scollare l'ungherese Orban dal Ppe non è andato a buon fine. E la stessa grande alleanza sovranista invece di conquistare Bruxelles è di fatto irrilevante al Parlamento Ue. Per riordinare un po' la linea estera Salvini si è affidato a dei consiglieri, che però non sono allineati tra loro.
Picchi è filtrumpiano, D'Amico («consigliere per le attività strategiche di rilievo internazionale» a Palazzo Chigi) guarda a Mosca, l'ex grillino Zanni è un ultras dell'uscita dall'euro e tuona contro Mario Draghi (che invece è in ottimi rapporti con Giorgetti), mentre più moderato è Paolo Borchia, eurodeputato leghista e coordinatore federale di «Lega nel mondo». Difficile, in questo guazzabuglio, avere una linea univoca.
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