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Il carbone divide la Cop26 ma BoJo canta vittoria. India e Cina sotto accusa

Johnson: "Il combustibile fossile è morto". Sharma: "Delhi e Pechino dovranno spiegare"

Il carbone divide la Cop26 ma BoJo canta vittoria. India e Cina sotto accusa

Questa volta non sarà necessario attendere a gennaio la Befana per ricevere il carbone. E non importa se saremo stati buoni o cattivi, ci penseranno India e Cina a non farcene mancare. Il colpo di scena della Cop26 è arrivato, com'era prevedibile, nelle fasi finali del summit. Nuova Delhi ha chiesto di sostituire al paragrafo 36 il termine «phase out» (uscita) dal carbone per la produzione energetica con il termine «phase down» (diminuzione), con il sostegno di Pechino. Questa misura, approvata a malincuore dalla maggior parte degli altri Paesi, ha indebolito il capitolo sulle emissioni derivate dal carbone. Molti hanno definito la revisione odiosa, ma inevitabile per arrivare ad una conclusione, aggrappandosi alla Cop27 del prossimo anno in Egitto.

Il premier britannico Boris Johnson vede il bicchiere mezzo pieno, assegna un 6+ alla conferenza e si affida al potere sociale delle persone che chiedono un cambiamento. Ieri in conferenza stampa ha sostenuto che «a Glasgow sono state suonate le campane a morto per l'energia a carbone. Vedrete che nel giro di pochi anni sarà inaccettabile avviare una nuova centrale elettrica in tutto il mondo. Mi reputo un fautore del green, oggi sono arrivato qui in bicicletta».

In riferimento al ribaltamento dell'ultimo minuto sulla risoluzione dei combustibili fossili, ammette: «Possiamo fare pressioni, ma non costringere le nazioni sovrane a fare ciò che non vogliono». Un assist per l'India, che si è difesa dalle critiche accusando a sua volta il mondo occidentale (sono le parole del ministro per l'Ambiente Bhupender Yadav) «di condurre stili di vita insostenibili e modelli di consumo dispendiosi. Sono loro a causare il riscaldamento globale, non certo il nostro carbone».

A Glasgow il mondo politico ha festeggiato l'obiettivo di contenerlo a +1,5°C dai livelli pre-industriali, ma questo significa, come sostengono parecchi analisti, ridurre le emissioni di gas serra di circa il 7% ogni anno. Ovvero più rapidamente di quanto non siano diminuite nel 2020, al culmine della pandemia. Anche se l'inquilino di Downing Street si è detto fiducioso, arrivando persino ad affermare che il summit di Glasgow «ha messo il mondo verso una rotta che assicurerà nel tempo il contenimento di +2°C». A fianco di Johnson c'era Alok Sharma, presidente della Cop26, convinto che «toccherà a India e Cina dare spiegazioni delle loro decisioni ai Paesi più poveri. Sono rincuorato da Nuova Delhi che si impegna a ottenere il 50% dell'energia da fonti rinnovabili entro il 2030».

In chiave internazionale, per il segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres, i testi approvati sono un compromesso e non bastano ad evitare la catastrofe ambientale incombente. «Il documento firmato evidenzia gli interessi, le condizioni, le contraddizioni e lo stato della volontà politica nel mondo oggi. Sono stati presi impegni importanti, ma la volontà collettiva non è bastata a superare alcune profonde contraddizioni. Il nostro fragile pianeta è appeso a un filo».

Meno pessimista è sembrata la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che ha parlato di «progressi», ma ha invitato tutti gli attori a «non perdere tempo». Amareggiato invece David King, ex consigliere scientifico del governo britannico e attuale presidente del Climate Crisis Advisory Group.

«I Paesi e la loro leadership, le lobby dell'industria e le aziende private devono essere ritenuti responsabili per la perdita di vite umane e i danni che deriveranno dalle loro azioni».

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