La Cop26 si aggrappa alla Cop27 per mascherare i fallimenti di una conferenza che si chiude con una lunga serie di incertezze e con il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, che se ne va prima dell'accordo definitivo. Qualcuno parla già del summit del 2022 in Egitto per trovare quegli equilibri che a Glasgow non si sono visti.
Il braccio di ferro è proseguito a oltranza su due punti focali: il futuro del carbone e i fondi ai Paesi più vulnerabili al clima. In entrambi i casi è mancata la sintonia, tant'è che il capo delegazione degli Usa, John Kerry, ha parlato di «ambizioni globali che si alzano, ma con altra strada da percorrere». I negoziatori dei 197 paesi partecipanti hanno trovato l'intesa su un testo che dovrebbe mantenere in vita l'obiettivo di contenere a +1,5°C il riscaldamento globale dai livelli pre-industriali, e tagliare le emissioni di anidride carbonica del 45% nel 2030, arrivando a zero emissioni di Co2 intorno alla metà del secolo. Sul resto siamo ancora in alto mare nonostante quasi due settimane di trattative. Il testo redatto, denominato «Patto per il clima di Glasgow», è imperfetto, ma paradossalmente bilanciato per consentire alle parti di andare avanti, non certo in Scozia. Il discorso più duro è stato quello dell'India che si è opposta alla graduale eliminazione dei piani energetici a carbone, affermando che i Paesi in via di sviluppo hanno «il diritto a un loro uso responsabile». Linea di pensiero condivisa da Pakistan, Cina, Sudafrica e Australia, che invocano trasparenza, ma che ben si guardano dall'abbandonare in tempi rapidi l'utilizzo dei combustibili fossili su larga scala. I rappresentanti di Stati Uniti, Ue, Cina e India ne hanno discusso fino a pochi istanti prima della firma. E, come riporta la Reuters, Kerry ha riferito alla delegazione di Pechino: «In linea teorica voi dovreste abbandonare il carbone nei prossimi 20 anni. Avete appena firmato un accordo con noi su questo punto». Una piccola luce in fondo a un tunnel ancora tutto da percorrere? Neppure per idea. Nel testo finale si parla di «Phase down» e non di «Phase out». Riduzione sì, eliminazione no. Il presidente della conferenza Alok Sharma, nell'adottare il documento finale, si è quasi messo a piangere, spiegando che «il testo è annacquato. Mi scuso per come si è chiuso questo delicato passaggio. Ora però è il momento di affrontare le nostre responsabilità di fronte al mondo. Avremo successo o falliremo tutti insieme». Frasi che non sembrano convincere l'attivista Greta Thunberg, che in un tweet ironizza su ciò che scriveranno i media. «Vedrete, tutti diranno che il risultato è buono e che è stato compiuto un passo nella giusta direzione». Se sul carbone non c'è ancora una visione univoca, sul budget da destinare ai Paesi poveri rimangono troppe incognite. Nell'accordo finale è sparito l'invito ad attivarlo entro il 2023. Il documento aggiornato si limita a spiegare che se ne parlerà non prima del 2025. Nonostante questo il gruppo delle nazioni meno abbienti ha votato il documento della Cop26 così come è stato proposto.
«Il testo non è equilibrato, ma comprendiamo che non si può accontentare tutti - ha riferito il rappresentante del Buthan parlando a nome della coalizione - Su perdite e danni ci aspettavamo di più, ma ora non è il momento di rinchiuderci nelle nostre differenze, è piuttosto il tempo dell'unità». In sintesi, questa Cop non è riuscito a fornire assistenza immediata alle persone che soffrono ora. I danni e le perdite dovranno essere in cima all'agenda della Cop 27. Prima che sia tardi.
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