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Carboni ardenti al Tg1. ​Il direttore già nel mirino

Malumori nella redazione del tg Rai guidata dal giornalista filo-M5s. E gli ascolti si ammosciano

Carboni ardenti al Tg1. ​Il direttore già nel mirino

La parola d'ordine è «non fate danni». Un po' poco per il primo direttore del Tg1 nell'epoca del governo del cambiamento. Ma in fondo smuovere il corpaccione della Rai non è mai stato facile.

Eppure nelle stanze del telegiornale più seguito d'Italia, dall'avvento alla direzione di Giuseppe Carboni il livello dei malumori si accumula sempre più, tanto da tracimare all'esterno. A dare ascolto alle lamentele che trapelano, ci sono non pochi inciampi nella gestione quotidiana della complessa macchina informativa che sforna 14 edizioni quotidiane. Troppe incertezze, troppi cambi di scaletta all'ultimo minuto, troppe sterzate di timone a seconda del vice direttore al comando. E, per di più, senza rivelare un piglio particolarmente aggressivo e innovativo, per dare almeno il senso del cambio di direzione, di una ventata innovatrice degna dell'aspettativa generata dalle promesse dei gialloverdi, che in lui avevano visto un giornalista fuori dalla nomenclatura dei mandarini Rai figlia di anni di opposte lottizzazioni.

Eppure il nuovo direttore è un professionista più che collaudato, con una lunga gavetta alle spalle e un pedigree da giornalista Rai doc, visto che le sue prime esperienze a Viale Mazzini risalgono al 1979. Al momento della nomina a nessuno è sfuggito che nel curriculum di Carboni ci fosse l'aver seguito il Movimento 5 Stelle fin dai suoi esordi in Parlamento nel 2013 e tanto di intervista a Beppe Grillo, tanto loquace su internet e nelle intemerate sui palchi, quanto poco avvezzo a veri confronti con i giornalisti. Dalla sua Carboni aveva però anche la lunga attività di uomo macchina. «Ho sulle spalle dieci anni di line, -si raccontava alla Stampa al momento della nomina- perciò capisco come funziona la fattura di un tg che ha altre regole rispetto alla carta stampata». Un vero paradosso che ora gli vengano rimproverate proprio le difficoltà nella gestione quotidiana.

Troppa cautela, dicono. E troppi vice direttori che rispondono alle vecchie logiche. Carboni ha confermato Maria Luisa Busi, che si occupa di speciali, Costanza Crescimbeni, arrivata in epoca renziana, e Filippo Gaudenzi, anche lui connotato a sinistra, come Simona Sala, gradita anche al M5s alla Roberto Fico, Bruno Luverà e due nomi per coprirsi verso il centrodestra: Grazia Graziadei e Angelo Polimeno Bottai. Schiera nutrita, inappuntabile sotto il profilo dell'esperienza professionale, ma composta da professionisti meno avvezzi alla macchina del telegiornale, con la conseguenza di un decollo decisamente lento e un po' impacciato, nonostante l'aumento di un vicedirettore rispetto al passato.

Il fatto è che Carboni non ha inciso, o perlomeno non lo ha ancora fatto, sulle seconde file della catena di comando, i caporedattori che comandano sulla line. Il risultato, dicono le voci interne ascoltate dal Giornale, è un posizionamento un po' fiacco, ancora dominato dalle scelte altalenanti a seconda di chi è il «feudatario» al comando al momento.
Una situazione che si rispecchia anche nella scelta dei temi, sempre volta a schivare ogni tema potenzialmente scottante o divisivo. Tanta attenzione al clima, alla plastica che inquina, alle startup e troppo poca, ad esempio, al dramma politico del Venezuela su cui il governo si era spaccato.

Il Tg1 di Carboni, un po' come tutta la Rai, risente dello stesso problema della maggioranza gialloverde, divisa tra poli così eterogenei da dover dribblare troppi argomenti sensibili, evitando di prendere posizione e connotarsi, anche se Carboni, nell'audizione in Vigilanza parlamentare ha respinto l'accusa di fare un tg appiattito sulle posizioni governative. L'effetto sugli ascolti è un certo ristagno, soprattutto nelle edizioni della mattina, mentre la sera si difende grazie al traino di programmi preserali di punta. Basterà al governo gialloverde?

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