Alla cena dei tre tenori giallo sul conto

Conte, Salvini e Di Maio a tavola. Versioni contrastanti pure sul menù

Alla cena dei tre tenori giallo sul conto

Roma - A questo punto, al punto cui siamo giunti, è lecito dubitare di tutto. Anche dei sorrisi, delle attestazioni di stima e persino della fiducia, che resta una «cosa seria» da concedere a «persone serie», come raccomandava la nota casa di formaggi dal pulpito di «Carosello».

Così oggi risuona il contrordine gialloverdi: alla cena dell'altra sera, definita «della fiducia», proprio quest'ultima s'è concessa una sospensione in attesa di prove più convincenti. Invece c'era, eccome se c'era, seduta al tavolo da sei del ristorante da «Sabatino» (Cave di S. Ignazio), la famosa «Manina». Era lì, accanto al premier Giuseppe Conte, con di fronte i due «imputati»: Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Al leader leghista, che sa come cavarsela con la stampa, è stato delegato il compito di parlare con i cronisti nottambuli. E del resoconto fatto da Salvini, tolte le frasi scontate sulla manovra, i veritieri no comment («abbiamo parlato d'altro, rimane tra noi») e le ammissioni su una «incazzatura che non sarebbe sfuggita neppure ai semafori» (sic), sono i dettagli a incuriosire, come rocce nella sabbia. «Avevamo tanta fame; mangiavamo fettuccine; la manina a tavola non c'era e non ha neanche pagato il conto; ha offerto Conte, un vero signore».

Immaginatevi ora la scena, con il premier-avvocato-mediatore impegnato come non mai nella sua opera in ogni dove - Europa, Italia, Palazzo Chigi, ristorante, persino casa sua - che si presenta a tarda ora al ristorante di piazza Sant'Ignazio, assieme ai due vicepremier altamente infiammabili. «Non avevano prenotato, sono arrivati all'improvviso, ma il loro tavolo ce l'hanno sempre, li ho messi in uno da sei all'interno, perché faceva un po' freddo, in una saletta riservata». A parlare è la proprietaria dell'osteria, Luigina Pantalone, ai microfoni di Un giorno da pecora, vero confessionale dei peccati (e peccatori) italiani, grazie all'incessante lavoro maieutico dei conduttori Giorgio Lauro e Geppi Cucciari, nonché della brillante coautrice Rachele Brancatisano.

Luigina parla a ruota libera, ci fa assistere alla scena: Conte di fronte ai due (ma ricordiamoci sempre pure di «Manina»), chiaro segno freudiano di alterità del «mediatore». Poi Luigina parte con le smentite a raffica. Tanta fame? «Cena sobria: un po' di antipastino vegetale, della carne chateaubriand e un caffè». Salvini ha parlato di fettuccine. «No, melanzane, peperoni, zucchine, un po' di mozzarella. Niente primo, sono passati subito alla carne con verdure». Da bere? «Acqua del sindaco, del rubinetto, espressamente richiesta» (dev'essere stato Di Maio, ndr). Conto? «80 euro, arrotondato per la mancia». Ha pagato Conte. «No alla romana, ognuno più o meno 30 euro, li ho visti che tiravano fuori i soldi». Ricapitolando: non c'è un'informazione che coincide con quanto riferito dal ministro Salvini ai cronisti. Certo, il clima era buono. La bufera era passata, la bocciatura della Ue - confermata da Merkel e da Juncker a Conte nelle sue telefonate di domenica che cercavano di rabbonire, mediare, giustificare - già metabolizzata a dovere. Il Quirinale pure avvisato in anticipo, come nel costume di Conte che, contrariamente alla vulgata, è tutt'altro che ingenuo, sprovveduto o poco inserito negli ambienti che contano.

E allora, chiederemmo ai vicepremier, perché mentire sul cibo? Su qualcosa di sacro come un bel piatto di fettuccine alle 10 di sera? Anche questo un consiglio dell'algoritmo «la Bestia», che presiede alle

dichiarazioni di Salvini? O il ministro ha parlato di fettuccine proprio per depistare la Bestia, che sarebbe potuta sentirsi colpita nel vivo? Noi sappiamo che la manina c'era, a quel tavolo. C'è, esiste, e lotta assieme a noi.

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