"Che diranno gli Usa di un governo Pd-5S?" E Matteo si prepara all'opposizione dura

Oggi salirà al Colle coi due capigruppo: «Mattarella escluderà governini»

"Che diranno gli Usa di un governo Pd-5S?" E Matteo si prepara all'opposizione dura

«Un governo forte omogeneo o il voto. Mi sembra in primis che sia il presidente Mattarella a escludere governini». Ancora: «Conte? Si è bruciato». E poi: «Se dovesse arrivare una maggioranza Ursula, voglio vedere le reazioni di Washington, tanto quelle di Pechino sono già previste: i cellulari Huawei usciranno dai rubinetti». Così parlava ieri Matteo Salvini, un po' ai suoi e un po' ai giornalisti, alla vigilia delle consultazioni al Quirinale, dove i rappresentanti della Lega-Salvini premier del Senato e della Camera arriveranno alle 16.

A meno di sorprese, la squadra che salirà al Colle sarà composta dal segretario, Matteo Salvini, e dai capigruppo di Camera e Senato, Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo. Romeo anticipa che cosa diranno al capo dello Stato: «Andare alle elezioni resta la via maestra. Con questo governo non si poteva andare avanti e a breve avremmo incontrato l'ostacolo della manovra».

Che il leader della Lega, come tutto il suo partito, spinga per il voto, non è una novità, ma «la strategia della porta aperta» proposta nel discorso di martedì 20 al Senato farà capolino anche davanti al capo dello Stato: taglio dei parlamentari, manovra da 50 miliardi (con la richiesta della necessaria flessibilità a Bruxelles) e poi al voto. Puntare tutto sulle elezioni, in un momento in cui gli abboccamenti sembrano dire che l'esito sarà esattamente opposto, sarebbe forse coerente ma autolesionista per il partito. E questo Salvini lo sa. Ma uscire dall'isolamento non sarà facile. Rispetto alle scorse consultazioni, la Lega andrà da sola e anche l'auspicio del suo leader, che cioè sia Forza Italia che Fdi si limitino a chiedere il voto subito è, per l'appunto, un auspicio.

«Tutto può succedere» ha detto Salvini al gruppo dei deputati leghisti che ha voluto riunire alla Camera. E per dare all'esterno un'immagine di compattezza, contro i dubbi che trapelano sulla sua conduzione della crisi, ha voluto scattare «una foto di famiglia» davanti a Montecitorio, tutti i parlamentari dentro incluso il perplesso consigliere Giancarlo Giorgetti in prima fila. Nei giorni prima dell'8 agosto, nel partito le critiche al leader erano all'ordine del giorno, sia pur anonime, come è consuetudine della Lega. Adesso che il segretario ha staccato la spina, Giorgetti a parte, tutti coloro che lo invitavano a rompere con i Cinquestelle, chi per la Tav, chi per l'autonomia, chi per i litigi quotidiani, sono disorientati ma ancora guardinghi. E se anche il dissenso esiste, i più aspettano di vedere come andrà a finire.

Al gruppo di increduli che Salvini ha portato alla Camera con alle politiche, ai peones che lo considerano il loro re Mida, lui ha detto che non ritiene chiusi i giochi, che mettere insieme le tessere di un nuovo governo non sarà facile, che Mattarella impiegherà pochi giorni a decidere, e soprattutto, come ha ripetuto ai giornalisti, che «qualunque altro governo sarebbe contro Salvini».

La tattica di questi giorni, proposta ai suoi, è continuare a mostrarsi impegnati a lavorare, in particolare sui temi economici.

In questo senso è da leggere anche il comunicato dei capigruppo di Senato e Camera, Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari, oggi al Colle: «La Lega è tutta al lavoro per costruire l'Italia dei Sì, fondata su un taglio di tasse per 10 milioni di cittadini, investimenti pubblici, infrastrutture, processi giusti e veloci, certezza della pena e bambini che tornano a nascere».

Se invece il destino sarà l'opposizione, Salvini sostiene di essere pronto. Ma è lì che le contraddizioni esploderanno.

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