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Ci salviamo dai No Vax ma non dal reddito 5S

Da Trieste a Roma, da Genova a Milano, il Paese non si ferma. Draghi (per ora) rifinanzia il sussidio e nel governo è scontro

Ci salviamo dai No Vax ma non dal reddito 5S

A volte governare con piglio e decisione dà i suoi frutti. Specie nel nostro Paese, terra di compromessi e di mediazioni esasperate. Il Premier ha tenuto sul Green pass e il Paese lo ha seguito: le manifestazioni non sono sfociate nelle violenze che i No-Vax avevano minacciato alla vigilia; porti e autostrade non sono stati bloccati; i servizi pubblici hanno funzionato. I sospesi dal lavoro sono stati pochi e, anche l'espediente del darsi malato, il refugium peccatorum di chi voleva evitare la sanzione per non essere in possesso del Green pass, non è stato usato da molti. Secondo Renato Brunetta l'incremento del giorno delle assenze per malattia nel settore pubblico non è andato oltre il 7%.

Ciò conferma che l'Italia ha bisogno di un governo che decida con serena fermezza. Diciamoci la verità. Un bisogno antico che nel Paese si impone periodicamente: Bettino Craxi legò gli anni del suo successo ad un'espressione, «decisionismo»; Silvio Berlusconi ha sempre perorato l'idea, per dirla in breve, che da noi l'istituzione che andrebbe valorizzata è il Governo. Filosofie che Mario Draghi sta applicando quotidianamente a Palazzo Chigi. Del resto mai come ora, dopo una tragedia come il Covid e un Paese che ha un desiderio profondo di risorgere, la richiesta di un esecutivo che decida non ci viene solo dall'Europa come condizione per rispettare gli impegni presi, ma, contemporaneamente, dal desiderio di sicurezza e fiducia che anima l'opinione pubblica.

Questa filosofia, però deve valere per il vaccino, per il green pass, ma non solo. Mai come ora, infatti, all'insegna del pragmatismo e della concretezza bisognerebbe cambiare ciò che il Covid ha reso anacronistico. Tra questi argomenti c'è sicuramente il reddito di cittadinanza, che non ha mai funzionato e ora, o andrebbe spazzato via, o andrebbe profondamente riformato. Si può comprendere la prudenza del Premier che non vuole guai e, quindi, esita a mettere in discussione un istituto che è l'ultima rovina rimasta in piedi del grillismo di governo. Il reddito di cittadinanza non vale una «crisi» ed è umano immaginare che se poi l'ambizione di Draghi fosse davvero quella di andare al Quirinale, perché dovrebbe inimicarsi in Parlamento quel che resta del partito di maggioranza relativa di questa legislatura? È anche vero, però, che rifinanziare il reddito con duecento milioni di euro quando le imprese, secondo il Censis, non trovano 233mila lavoratori di cui hanno bisogno (carenza che costa l'1,2 di Pil, cioè 22 miliardi di euro), stride con il buonsenso. Specie se, dati alla mano, si scopre che ormai lo strumento non serve più a preparare ed offrire mano d'opera, ma si è trasformato, nei fatti, in un sussidio per la povertà.

Ecco perché prima di assegnargli nuove risorse il reddito andrebbe come minimo ripensato. Un obiettivo che il Premier dovrebbe perseguire con lo stesso piglio e lo stesso decisionismo che hanno caratterizzato la sua battaglia per il Green pass.

È pleonastico dirlo, almeno si spera, ma nel Paese dei compromessi non si sa mai.

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