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Il codice penale sventolato come una banduerola

Sfidando il consenso di molti, vorrei sostenere la bontà di questa operazione. Ma sottolineare come il medesimo esecutivo rischi una gigantesca contraddizione

Il codice penale sventolato come una banduerola

Il Consiglio dei ministri ha deciso di abrogare una serie di reati, trasformando la punizione da penale ad amministrativa. Sfidando il consenso di molti, vorrei sostenere la bontà di questa operazione. Ma sottolineare come il medesimo esecutivo rischi una gigantesca contraddizione. Saranno abrogati, tra gli altri, reati come quello di atti osceni, guida senza patente, ingiuria, evasione delle ritenute previdenziali e violazioni delle regole da parte di coloro che sono già stati autorizzati a coltivare la cannabis. In materia penale-fiscale il governo aveva fatto altrettanto alcuni mesi fa. Introducendo soglie sulla non punibilità di certi reati tributari. Ci sono due buoni motivi per depenalizzare e affidare la sanzione a una multa. Uno di tipo pratico. E cioè liberare i tribunali penali da una mole incredibile di procedimenti. L'obbligatorietà dell'azione penale (altro feticcio del nostro sistema) fa sì che non ci possa essere una discrezionalità formale tra un reato bagattellare e uno che non lo è. Con Vittorio Mathieu, che pure non è certo un rivoluzionario, credo che la pena debba restare «una sofferenza, un dispiacere arrecato a chi si vuole punire». Dunque rendere la «sofferenza» effettiva dà il tono della giustizia. Non basta renderla solo formalmente «penale». Andiamo sul pratico e prendiamo ad esempio un reato (quello di clandestinità) che pure il governo non ha depenalizzato. Mi chiedo se sia più efficace, in termini di «sofferenza», aprire un procedimento penale che possa portare a un'ammenda o piuttosto prevedere una sanzione amministrativa che porti all'immediata espulsione? Probabilmente è difficile realizzare entrambi (visti i numeri dell'immigrazione), ma sul piano sostanziale è preferibile «esiliare» un clandestino che nazionalizzarlo in un nostro carcere (pena peraltro non prevista dal nostro ordinamento). C'è poi un secondo aspetto teorico. Ampliare a dismisura il campo di applicazione del codice penale, immaginare l'allargamento del diritto dello Stato di privarci della libertà, esercitando il monopolio legale della violenza, è una materia che uno Stato liberale dovrebbe trattare con attenzione. O si spera che la pena alla fine non si sconti e dunque si punta sulla sua capacità deterrente o si è davvero convinti che il giudice penale si possa occupare anche delle controversie private. Un'idea alquanto socialista della nostra convivenza sociale. Ma dicevamo, esiste anche una fatale contraddizione nel comportamento del governo Renzi, che vuole introdurre un nuovo reato. I dirigenti della pubblica amministrazione che non procedano al licenziamento del fannullone colto in fragrante, rischiano la galera. In questo caso, come in quelli appena depenalizzati, si persegue un ottimo fine. Il sospetto è che il codice penale sia diventato un bastone da agitare a seconda delle mode. E che la sua modifica sia fatta per rafforzare la direzione della politica contingente e non per prevenire o punire davvero comportamenti illegali. Una pena per tutti.

A seconda dei sondaggi.

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