Colpo al petrolio mondiale Usa-Iran, minacce e accuse

Negli stabilimenti distrutti passa il 7% del greggio della Terra. Riad ricorre alle riserve. Rischio rincari

Colpo al petrolio mondiale Usa-Iran, minacce e accuse

Il giorno dopo l'attacco al cuore del sistema petrolifero dell'Arabia Saudita il mondo è indiscutibilmente meno sicuro. L'economia è sotto choc, e si torna a parlare di guerra in Medio Oriente. Il colpo subito dai colossali impianti di Abqaiq e di Khurais, attraverso i quali passa per un indispensabile trattamento chimico che precede la raffinazione oltre il 7% di tutto il petrolio della Terra, è stato talmente pesante da renderli inutilizzabili, e ora i tecnici si affannano a valutare quanto tempo ci vorrà al più grande Paese esportatore di greggio del pianeta per recuperare: di fatto la capacità produttiva saudita è al momento dimezzata, con rischi imminenti di balzo verso l'alto del prezzo del petrolio in tutto il mondo già in queste ore. La più probabile reazione a questa minaccia sarà il ricorso alle riserve petrolifere strategiche degli Stati Uniti e dei Paesi dell'Agenzia internazionale per l'energia.

Ma le ricadute sull'economia internazionale sono solo un aspetto, per quanto inquietante, delle conseguenze dell'attacco con droni rivendicato dagli Houthi yemeniti filoiraniani: gli Stati Uniti, infatti, hanno puntato il dito direttamente contro l'Iran, accusandolo di essere il vero responsabile. Un'accusa che neppure la stessa Arabia Saudita se l'è fin qui sentita di pronunciare, e che potrebbe innescare la classica escalation che scappa di mano, anche se pare improbabile che Donald Trump, che ha appena licenziato il suo consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton perché troppo incline all'uso della forza militare, voglia spingersi fino a scatenare un conflitto nella regione più pericolosa del mondo.

La reazione di Teheran non si è fatta attendere. Il ministro degli Esteri Javad Zarif ha replicato a Trump dandogli del mestatore e del bugiardo, e negando qualsiasi responsabilità della Repubblica Islamica. Per gli iraniani, la spiegazione dell'accaduto è tutta all'interno del conflitto che contrappone i suoi alleati yemeniti Houthi ai sauditi (e ai loro sempre più riluttanti alleati degli Emirati Arabi). Pare invece realistico vedere la mano di Teheran dietro la piccola flotta di droni che ha colpito l'Arabia, anche se sarebbe un errore cercare spiegazioni semplici a un problema molto complesso: la sensazione è che a Teheran si stia facendo il famoso giochino del poliziotto buono e di quello cattivo, con il governo che nega azioni violente ed esorta ad aprire negoziati, mentre forze armate e pasdaran fanno la voce grossa e sfidano il Grande Satana americano alla guerra, dicendosi pronti a colpire «ogni bersaglio» nel raggio di 2mila chilometri dall'Iran.

Il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha espresso totale scetticismo rispetto alla versione ufficiale sostenuta dagli Houthi: c'è il sospetto che i droni siano partiti invece dal territorio iracheno, dove operano milizie sciite filoiraniane. La tentazione di lanciare una rappresaglia militare è forte, ad esempio il senatore Lindsay Graham ha proposto di colpire le raffinerie in Iran «per spezzare la schiena al regime», ma lo è anche la consapevolezza degli enormi rischi che essa comporterebbe.

In queste ore è probabile che gli stessi Stati Uniti stiano cercando di ottenere informazioni affidabili sull'accaduto, così come stanno facendo britannici e francesi, questi ultimi più che mai impegnati in uno sforzo diplomatico con Teheran che ha come focus la delicatissima questione del nucleare dell'Iran e delle relative sanzioni che strangolano la sua economia. Tutto si tiene, ma mai come adesso la crisi incentrata sull'Iran ha mostrato tanta pericolosità.

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