Politica

La vera rivoluzione del lavoro: priorità ai contratti aziendali

Renzi si sbrighi ad abolire l'articolo 18, con fermezza, ma garbo. E passi ad altro

L' intervento sull'articolo 1 del cardinale Bagnasco, presidente della Cei, e del segretario generale monsignor Galantino dovrebbe indurre Renzi a essere concreto e la Camusso ad abbassare i toni. L'articolo 18 non è un articolo di fede, ha detto Bagnasco, aggiungendo che è meno centrale di altri temi. Ha ragione. L'articolo 18 è una norma nata male, che si presta a interpretazioni faziose. Va superata essendo servita per ingessare il lavoro. Ma la sua importanza è meno centrale di altre aspetti del mercato del lavoro. L'impianto sbagliato dirigista, che Renzi non modifica è il sistema centralizzato per cui i contratti di lavoro sono regolati burocraticamente da leggi e patti nazionali, che prevalgono sui contratti aziendali, in cui invece l'accordo viene concluso da quelli che lo applicheranno a sé medesimi. Con essi si ottiene la flessibilità di orari e mansioni e il legame colla produttività. Con essi si mette la comunità dei lavoratori e dei dirigenti dell'azienda al centro del contratto, insieme all'impresa. Il Jobs Act di Renzi mantiene la superiorità del contratto nazionale a tempo indeterminato su quelli aziendali e tende a eliminare anche i contratti flessibili cosiddetti precari. La Cei ha ragione, dunque, quando afferma che l'articolo 18 è meno centrale di altri aspetti. E ha ragione a essere preoccupata del fatto che mettendo la questione sul piano politico astratto si va allo scontro fra correnti politiche (del Pd) mentre urgono le riforme concrete che creino occupazione e crescita. Ieri il governo ha comunicato che nel 2014 il Pil decresce dello 0,5%. Esso prevede per il 2015 una crescita dello 0,5. In pratica il gioco dell'oca. Ma a che servono il decreto sblocca Italia che in teoria rilancia gli investimenti e il Jobs act che dovrebbe riformare il mercato del lavoro? Il segretario generale della Cei monsignor Galantino accusa Renzi di parlare molto e di non far seguire alle parole i fatti. E anche questa critica appare appropriata. Il Jobs act è un disegno di legge delega. Va approvato dalle due Camere. Passeranno vari mesi. Poi per entrare realmente in vigore avrà bisogno di decreti attuativi. E per il modo come è scritto, in politichese - (sperando che non venga ulteriormente pasticciato) - non è facile prevedere il testo finale. Renzi si sbrighi ad abolire l'articolo 18, con fermezza, ma garbo. E passi ad altro.

Ascolti la Cei che pone la famiglia al centro delle cose e Marchionne che ha fatto i contratti aziendali, che attendono leggi che li rafforzino.

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