di M ale che va, Ignazio Marino è in buona compagnia, può sempre dire che a lui è spettata la stessa sorte di Trotsky con Lenin o quella del generale Po-Ku con Mao: la vecchia abitudine comunista di far sparire i caduti in disgrazia rimuovendoli dalla fotografia. Nella foto di famiglia della sinistra italiana il sindaco di Roma è già stato cancellato. Da Palazzo Chigi al Nazareno è tutto un fischiettare alzando gli occhi al cielo con fare indifferente: «Marino chi?». Il sindaco gaffeur che ha chiuso il centro storico a tutti, persino alle molecole di aria, tranne che alla sua Panda Rossa; che i sondaggi sul gradimento hanno fatto precipitare a numeri vicini allo zero; che aveva annunciato che sarebbe ripartito dal «decoro delle periferie» e si ritrova con le periferie in rivolta; che è riuscito a far rimpiangere i disastri dei governi capitolini precedenti, è tornato ad essere un «marziano» (dal soprannome datogli dagli avversari), ma stavolta per la sua stessa parte politica. Eppure la sera della vittoria, poco più di un anno fa, al momento dei festeggiamenti tra un Bella Ciao cantato a squarciagola e i militanti che salutavano la sconfitta di Alemanno con «fuori i fascisti dalla città», erano accorsi tutti a prendersi i meriti: dal segretario del Pd Epifani a Susanna Camusso, da Nicola Zingaretti che lo definiva un «candidato straordinario», a Enrico Gasbarra. Le bandiere di Sel sventolavano a fianco di quelle Pd, perché anche quel furbacchione di Nichi Vendola aveva deciso di mettere cappello sulla riconquista della capitale mentre giornali e intellettuali celebravano la «liberazione di Roma». Tra coloro che si erano spesi per la vittoria di Marino c'era stato proprio lui: Matteo Renzi, allora non ancora premier ma solo sindaco di Firenze e promettente rottamatore. Fu lui il primo giugno 2013 a lasciare la sua città per andare a fare campagna elettorale per il suo collega a Roma, in un'irrituale sceneggiata di un sindaco che fa la campagna elettorale ad un altro sindaco. Quel giorno Renzi e Marino passeggiarono a braccetto per la Garbatella, visitarono il bar dei Cesaroni per assaggiare un po' di romanità da fiction e poi fecero un mega-comizio al teatro Ambra. Qui Renzi diede il meglio di sé offrendo ai militanti romani alcune delle sue prelibate renzinate: «Auguro a Marino di poter fare il mestiere più bello del mondo», e ancora «il primo cittadino è l'ultimo cittadino, quello che spegne la luce la sera come avviene in una famiglia». Renzi, che adesso non fa più il mestiere più bello del mondo, che ha smesso di spegnere la luce dei fiorentini per provare a spegnere l'Italia, non ha più tempo per vedere Marino. Lo farà incontrare dal portavoce Lorenzo Guerini, per affrontare «il dossier Roma» e trovare una soluzione ad una crisi che lascia impreparato il Pd. Si metteranno d'accordo per una «crisi pilotata» e per un «cambio di passo» (leggi rimpasto di giunta), termini che la liturgia politica usa per dire «fra un po' ti facciamo fuori», ma nel pieno rispetto della forma. In questo Renzi appartiene interamente alla storia della sinistra; è impregnato di cultura da doppia morale e da sbianchettamento delle foto. Lo abbiamo visto già all'opera.
Siamo sicuri che l'emissario di Renzi rassicurerà Marino che è tutto a posto e che la fiducia del premier nei suoi confronti è intatta. Gli dirà una cosa del genere «Matteo ti manda un messaggio: #ignaziostaisereno ».twitter: @GiampaoloRossi
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