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Confindustria: siamo al bivio. Sì al centrodestra europeista

Il presidente Boccia lancia il piano in 12 punti per far ripartire il Paese: "Ci confronteremo con tutti i partiti"

Confindustria: siamo al bivio. Sì al centrodestra europeista

Sette anni dopo tornano le Assise di Confindustria. Formula solenne per dare forza agli imprenditori italiani, e farlo a 15 giorni dalle elezioni. A volerle è stato il presidente dell’associazione, Vincenzo Boccia, giunto ormai a metà del suo mandato, che dura in tutto 4 anni.

E a giudicare dalla partecipazione, ha vinto la sua scommessa: oltre 7mila sono arrivati ieri alla fiera di Verona, da tutta Italia. Ma se qualcuno si aspettava alla fine una indicazione di voto da parte del leader degli industriali si sbagliava: non è arrivata. In compenso dalla base di questo mondo emerge con chiarezza da che parte batte il cuore: maggioranza assoluta al centrodestra. Sarà che l’imprenditore tende antropologicamente da questa parte; sarà che qui, in Veneto, ancora di più; sarà che Matteo Renzi è stato un fenomeno a dissipare il tesoretto di consensi che si era guadagnato nel 2014, sta di fatto che non ci sono dubbi. Con un aggettivo, però, da cui non si può prescindere: europeista. Centrodestra-europeista.

Non a caso le Assise sono state inaugurate dall’esecuzione dell’inno europeo, l’Inno alla Gioia di Beethoven, a introdurre come ospite d’onore l’ex presidente della Commissione Ue Manuel Barroso. Che ha fatto impennare l’applausometro proprio quando ha parlato di «Europa ed euro più forti che mai contro nazionalismo, populismo, protezionismo». Un passaggio chiave per comprendere che qui in Veneto, dove il referendum della Lega ha preso il 54% dei consensi, e più in generale in tutto il tessuto imprenditoriale del Nord, dire Lega non è intendere Salvini; non significa essere euroscettici. Anzi.

Tanti imprenditori (e le loro famiglie) di tanti territori industrializzati sono a loro volta antropologicamente leghisti. Leghisti ed europeisti. Le divisioni rispetto a Forza Italia si attenuano fino a trasformarsi in dettagli di diverse vedute. E se il Pd resta un bacino di voti rilevante, il nemico numero uno è il Movimento 5 Stelle: non ne trovavi uno, ieri a Verona, che dice di votare Di Maio. Se ce n’erano, mentivano, con lo slogan ripetuto del: «Meglio nessun governo che un governo a 5 Stelle». Nonostante questa forte spinta, a decidere di non volare alto è però lo stesso Boccia, che àncora il suo discorso conclusivo a tre punti fermi. Premette di essere «equidistante dai partiti», ma poi aggiunge che «diciamo con chiarezza quello che nessuno dovrà smontare: Jobs Act, riforma Fornero e industria 4.0».

E così facendo si obbliga in uno schema che, più di tanto, non può essere flessibile. Perché non c’è riforma più renziana del Jobs Act e non ce n’è una più discussa, a destra, in questa legislatura, della legge Fornero del governo Monti. Inoltre, Boccia si guarda bene dal riequilibrare questa sensazione tenendosi alla larga dalla più importante proposta economica del centrodestra: la flat tax, mai citata, nemmeno una parola, durante il suo discorso o nel documento finale. Idem per l’immigrazione, o per Macerata, come se per il tessuto imprenditoriale questo non fosse un tema opportuno da toccare. Dopodiché, in questo quadro politico «bifronte» di vertice e base, tenuti comunque insieme da un europeismo convinto, dalle Assise Generali è uscito nero su bianco il programma economico che verrà ora presentato ai partiti. «La visione e la proposta», per i prossimi 5 anni di legislatura.

Meno di 30 pagine, ma pesanti, a cui ha lavorato il nuovo capo del Centro Studi Confindustria, l’ex Fmi Andrea Montanino. Un economista autorevole e ascoltato in Usa ed Europa, che ha disegnato un Italia che punta ad aumentare di 5 punti l’occupazione (e di 15 quella giovanile), con 1,8 milioni di posti di lavoro; che dovrà crescere almeno del 2% l’anno; e che abbasserà il debito/Pil del 20%.

Nella sua ricetta, per il recepimento risorse, spiccano Eurobond, Spending review, fondi pensione. E tra gli investimenti, infrastrutture, e decontribuzione. Ora la palla passa ai partiti. Per capire a chi interessano davvero gli imprenditori italiani.

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