Le conseguenze della manovra di Francoforte

Le banche ringraziano Francoforte. Il quantative easing appena varato dalla Bce (ovvero il massiccio riacquisto di titoli di Stato da parte della banca centrale europea che, per la sola Italia, vale 139 miliardi di euro), creerà liquidità per gli istituti di credito, cash che a sua volta potrà essere investito sui mercati e generare plusvalenza. Ma, in assenza di riforme capaci di ridare slancio all'economia e attrarre investimenti, difficilmente cambierà lo scenario per imprese e famiglia in cerca di finanziamenti. Tanto per essere chiari, il solo Qe non è sufficiente a invogliare un istituto di credito a erogare un mutuo a un giovane precario o a finanziare una piccola impresa alle prese con il nodo scorsoio della liquidità. Non c'era bisogno del Qe affinché le banche fossero pronte a finanziare aziende sane che tuttavia, in tempi di recessione, non sempre sono desiderose di investire nella crescita.

Certo, la recente strategia di Francoforte, avendo abbassato a un livello rasoterra i tassi di interesse, rende meno attraenti i classici investimenti “sicuri“ in titoli di Stato e, di contro, più seducenti altri asset o attività. Ma non è detto che, tra questi ultimi, l'erogazione di finanziamenti e mutui siano i prediletti da parte delle banche.

«Mi attendo che il denaro si riversi sui mercati finanziari, all'economia reale arriveranno solo briciole. Almeno fintanto che i governi, attraverso riforme dedicate, non creino per le banche condizioni adeguate a investire anche in periodi di recessione come quelli attuali dove l'incertezza regna sovrana», sostiene Vincenzo Longo, strategist di IG. Il problema, a giudizio dell'esperto, è che nonostante l'arrivo ingente di liquidità nelle casse delle banche a partire dal prossimo 1° marzo, queste ultime non hanno incentivi ad allargare i cordoni della borsa (né sono obbligate a farlo) e, visto lo scenario di riferimento, i mercati finanziari sembrano offrire maggiori opportunità di guadagno rispetto ai finanziamenti all'economia reale. Il Qe infatti si inserisce in un'economia recessiva dove il rischio di insolvenza per famiglie e le imprese rimane elevato. «Per di più l'attuale regolamentazione prevista da Basilea III è molto rigida sul rischio credito», aggiunge Longo. L'andamento deludente delle aste Ltro può essere considerata una prova generale: certo si tratta di uno strumento diverso rispetto al Qe, ma la logica di fondo cambia poco.

Leggermente più ottimista Michele de Michelis, responsabile degli investimenti di Frame Asset Management, secondo cui la mossa di Draghi «serve a immettere benzina nel sistema anche se poi, per l'accensione vera e propria, servono riforme che sostengano il rilancio dell'economia. Deve essere creato un ambiente adeguato per invogliare gli investimenti e non reprimerli tra fiscalità e burocrazia. Se no il Qe, da solo, non basta».

Sulla stessa linea anche Andrea Menescardi, responsabile dell'ufficio studi di Sofia sgr. «Il problema delle riforme è assolutamente cruciale: la Bce può riversare nelle banche tutta la liquidità a sua disposizione, ma è del tutto inutile se non la si trasferisce all'economia reale. Draghi ha fatto tutto quanto in suo potere, la palla ora passa ai governanti. E, se i governi opereranno in modo efficace, si potrà creare una cornice in cui inserire anche quei provvedimenti che dovranno sciogliere il vero nodo, le sofferenze che ingabbiano le istituzioni finanziarie impedendo loro di tornare a prestare come servirebbe». Insomma, il Qe da solo non basta ma è comunque un inizio, una base da cui iniziare a sperare, riforme permettendo.

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