I l signor A.S. è uno spacciatore di droga, esponente di una categoria abietta che campa vendendo morte. È stato condannato dal tribunale di Lecce a tre anni e undici mesi di carcere, ma non vedrà mai una cella. Per salvarlo dalla galera si è mobilitata addirittura la Corte Costituzionale, con una sentenza depositata ieri: che insieme al pusher salva miglia di criminali, garantendo loro di poter accedere alle cosiddette «misure alternative» senza espiare un solo giorno di pena.
Grazie alla sentenza, per chiunque abbia una pena definitiva da scontare fino a quattro anni non potrà più venire disposta l'esecuzione della condanna, per dargli modo di richiedere la sospensione e di aspettare a piede libero i tempi (in genere assai lunghi) delle decisioni del tribunale di sorveglianza. Il tetto finora era di tre anni. Alzando l'asticella, si portano nell'elenco degli inarrestabili anche i responsabili di crimini gravi: non solo gli spacciatori ma anche strozzini, ricattatori, e l'intero mondo dei reati predatori, rapine in casa comprese. In pratica, la Consulta (e non è la prima volta) si sostituisce al Parlamento, di cui peraltro bacchetta la lentezza nel legiferare su questo tema.
A tracciare la strada era stato a ridosso di Natale il ministro della Giustizia Andrea Orlando, varando il decreto delegato che alzava a quattro anni la soglia minima per finire davvero in cella, annullando anche le restrizioni che finora bloccavano per alcune categorie (come gli evasi e i recidivi) la possibilità di ottenere l'affidamento ai servizi sociali e altri benefici. Ma il decreto di Orlando era andato a sbattere contro una salva di obiezioni da parte delle Commissioni Giustizia della Camera e del Senato, che avevano indicato i pericolosi eccessi di buonismo contenuti nel provvedimento.
A quel punto era partito un pressing da più fronti perché Orlando, infischiandosene delle obiezioni del Parlamento, varasse lo stesso il provvedimento. Anche se il governo è dimissionario ed in carica solo per l'ordinaria amministrazione, c'era chi premeva per la firma immediata. Il timore sottinteso era che, all'indomani delle elezioni, al ministero della Giustizia possa approdare un Guardasigilli più attento ai diritti delle vittime che dei colpevoli, e che la riforma si blocchi. Orlando, però, ha saggiamente ritenuto di astenersi.
Ma ora a togliere in buona parte le castagne dal fuoco arriva la sentenza della Corte Costituzionale, scritta dal giudice Giorgio Lattanzi, che modifica d'autorità l'articolo 656 del codice di procedura penale, che finora fissava in tre anni la soglia. Poiché la «legge svuotacarceri» del 2013 ha portato a quattro anni il limite per ottenere i benefici carcerari, allora - afferma in sostanza la Consulta - è illogico che non si alzi allo stesso tetto il limite per aspettare a piede libero, anziché in carcere, la concessione dei benefici stessi.
Invano l'Avvocatura dello Stato ha provato a spiegare che la diversità di trattamento «è frutto non di una casuale omissione del legislatore ma di una scelta dipendente dal maggior grado di pericolosità del condannato, desumibile dalla maggiore misura della pena che gli è stata inflitta» e che le questioni di incostituzionalità erano «inammissibili perché invasive della discrezionalità del legislatore». Niente da fare, per la Consulta il testo attuale della legge violava il principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge: a prescindere dal reato commesso.
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