
Più superbonus che «supercar», si potrebbe dire. Non è facile inquadrare la fisionomia disinvolta e variopinta del Giuseppe Conte politico, quello che ormai 7 anni fa, da oscuro giurista, si è ritrovato improvvisamente elevato al rango di protagonista nella stagione di massima fortuna del populismo italiano.
Non è facile inquadrare la sua parabola, ma certo nessuno evocherebbe, per descriverla, la nobile fisionomia di una Ferrari. Nessuno tranne lui, «l'avvocato del popolo», che due giorni fa, ospite del programma di Giovanni Floris «Di Martedì», su La7, in una poco sorvegliata invettiva contro il governo in carica, guidato da Giorgia Meloni, dopo aver affermato che «la destra va abbattuta democraticamente», ha spiegato che ciò che addebita al centrodestra è l'«incapacità», e ha avuto l'ardire di affermare: «State mettendo in ginocchio il Paese, avevate una Ferrari e la state facendo andare peggio di un'utilitaria», per poi spiegare, duettando con il conduttore, che la Ferrari era proprio quella che aveva lasciato lui.
Ora, molte cose si potrebbero dire sui riferimenti ideologici di Conte - così duttili - e sui suoi rapporti con «la destra». Conte è stato prima presidente del Consiglio sovranista, poi leader europeista e anti-sovranista, uomo di centro, quindi improvvisamente abbastanza di sinistra da coltivare ambizioni da «Mélenchon italiano», affine a Donald Trump, salvo poi saltare sul carro del Biden che lo aveva disarcionato («Un grande giorno per la democrazia - disse - la cui importanza travalica i confini americani») disse. Allo stesso modo ha spronato Bolsonaro e poi esultato per Lula, ha fatto arrabbiare i compagni per l'ostinazione nel non esprimere una preferenza fra Macron e Le Pen, salvo poi a risultato acquisito affermare che era «importante che non avesse vinto la destra». Ha aumentato le spese per la Difesa e oggi fa dell'antimilitarismo il suo cavallo. Per non parlare delle posizioni sull'aggressione russa e della (non) posizione - almeno, social - il 7 ottobre.
Il punto è che l'onestà, sbandierata dai grillini, non è mai stata intesa come onestà intellettuale, di cui c'è penuria non meno che dell'altra, quella «morale». Altrimenti loro stessi ammetterebbero di aver quasi dissestato i bilanci statali per compiere la più grande operazione di redistribuzione al contrario che si sia mai vista in Italia: il superbonus.
Con una dotazione normale di onestà intellettuale, nessun grillino (ex o post) si sognerebbe di usare l'argomento della capacità, meno che mai accostandosi a una Ferrari. A meno che, quando parla di Ferrari, non ci si riferisca a quella, purtroppo disastrosa anche quest'anno e che da quasi venti non vince un titolo.
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