La prima regola di Giuseppe Conte è smarcarsi dal suo predecessore, cioè da se stesso, dall'avvocato arrivato per caso a Palazzo Chigi come controfigura di Salvini e Di Maio. Quel Conte è in gran parte archiviato. Quello che resta sono i contatti stretti mese dopo mese in Europa, con la fotografia scattata al bar dell'Hotel Amigò di Bruxelles alle tre di notte in compagnia della Merkel e di Macron. Era una lontana primavera.
Il Conte bis, il Conte che ritorna, il Conte che al Senato si aspetta almeno 169 sì, non chiederà la fiducia in nome del passato. Salvini non vorrebbe neppure nominarlo, Di Maio gli è ancora utile ma sa che non ha il peso per fare ombra. Non si presenta con il marchio grillino, anche se sul blog delle stelle lo arruolano a capo del governo con una camicia gialla. È una speranza del Movimento, ma non è una preoccupazione immediata del premier. Non ha interesse a mostrarsi come leader di partito. È troppo presto. È un azzardo che si può fare in vista delle elezioni, ma non è detto che questo sia il suo destino. Ci sono tante opportunità e non è il caso di bruciarle al buio. Conte non ha mai fretta. Non scopre le carte e gioca sul fatto che gli altri, alleati e avversari, tendono a sottovalutarlo. È molto ambizioso, ma non appartiene alla schiatta degli avventurieri. Non ha lo spirito vorace e corsaro di un Matteo Renzi o di un Matteo Salvini. Non rilancia, non anticipa i tempi, non si gioca tutto su una sola mano. È un'acqua cheta. È un uomo senza forti asperità, con una vocazione a ridisegnare gli equilibri e a restaurare, una sorta di piccolo, molto piccolo, Talleyrand. È per questo che nell'Europa minacciata dal sovranismo hanno cominciato a vederlo come punto di stabilità. È un aspetto che il Conte bis tenderà a enfatizzare. Non è un caso che uno degli aspetti a cui tiene di più è quello delle riforme istituzionali. Non le presenterà mai come una svolta drammatica, con un «o con me o contro di me», con il piglio plebiscitario di Renzi, ma come un ritocco, un aggiustamento, quattro o cinque colpetti da assestare qua e là dopo il taglio dei parlamentari. L'impatto sulla vita politica in realtà sarà molto più rilevante, con un peso maggiore del governo rispetto al Parlamento. Tutto da realizzare senza boati, ma con un sussurro. Il resto sarà un lavoro di equilibrismo, di certo non facile, per rendere compatibili gli interessi delle due forze di maggioranza. La sfida più insidiosa è riuscire a dare agli italiani una speranza di benessere economico. Conte non ha una ricetta strategica, ma si affida al buon senso di Germania e Francia. Nessuna delle due può più permettersi una politica economica senza crescita. Altri due o tre anni di crisi e l'Europa esplode di rabbia e rancore nelle piazze. Rivedere i patti di stabilità conviene a tutti. Conte immagina di avvantaggiarsene. Non è affatto detto che andrà così.
La vera discontinuità resta comunque questa. Il governo Cinque Stelle-Pd cercherà la convivenza tra il giallo e rosso alzando il vessillo blu della bandiera europea. Gli uomini di Zingaretti lo stanno già facendo, basta guardare ai colori della festa dell'Unità a Ravenna, dove si riesumano i cori di «Bandiera Rossa» e «Bella Ciao» ma in uno scenario atlantista e europeo. I Cinque Stelle stanno rapidamente cambiando rotta, con Di Maio che abbandona i gilet gialli per apparecchiarsi alla tavola di Macron. Né Zingaretti né Di Maio sono però i leader politici della nuova maggioranza.
C'è un contenitore più ampio che si riconosce in un tandem inatteso, quello di Conte e Gentiloni. E nel sottoscala c'è Renzi che sogghigna, in attesa di liquidare tutti con il più cinico e improvviso degli «stai sereno».
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