Una suora, anzi, una monaca, in abito da sposa? Le foto della ventisettenne che nella cattedrale di Barletta, davanti all'arcivescovo, si è presentata in abito bianco per poi vestire l'abito religioso mi hanno fatto sobbalzare. Che scherzo è mai questo? Forse forse, visto che le consorelle apparivano sorridenti e partecipi, uno scherzo da suore? A noi cattolici biblici, convinti che la Sacra Scrittura sia ancora valida dalla prima all'ultima pagina, compresa quella in cui San Paolo scrive «la donna impari in silenzio, in piena sottomissione», il protagonismo femminile sotto le navate desta sempre una certa preoccupazione. Basti dire che a me danno fastidio anche le ministre straordinarie dell'eucaristia (spesso, almeno nelle chiese che frequento, sono per l'appunto suore). Sarò ipersensibile ma nelle donne che distribuiscono l'ostia ai fedeli, come pure nelle ragazzine che in alcune chiese servono messa, percepisco una sorta di preludio al sacerdozio femminile. E se mi chiamate paranoico dovete chiamare paranoico anche il Papa emerito che nel 1988, durante i funerali svizzeri del teologo Von Balthasar, alla vista delle chierichette rimase costernato.
Poi però bisogna ragionare. Se le monache vengono da sempre qualificate come spose di Cristo perché mai ci si dovrebbe turbare se al rito che le introduce alla vita religiosa si presentano vestite da spose? Quanto di più logico, pensandoci bene. E quanto di più storico. Non è affatto una novità che le cosiddette postulanti, le donne entrate da poco in monastero, per il giorno della vestizione ufficiale scelgano l'abito bianco. Copioincollo dal sito della diocesi di Trieste: «L'abito bianco ha un duplice significato: ricorda la veste bianca che ciascuno riceve il giorno del Battesimo, ma anche, nella sua foggia da abito nuziale, è un richiamo a quella mondanità alla quale si rinuncia per essere completamente di Dio». Di solito si usano abiti semplici, senza strascichi o altri orpelli, ma non ci sono regole precise. Un secolo fa in Sicilia le aspiranti carmelitane entravano in chiesa agghindatissime. Nel 1934 Santa Teresa Benedetta della Croce (al secolo Edith Stein) si presentò nella cappella del Carmelo di Colonia con l'abito da sposa regalatole dalla sorella. E sto parlando di una grande mistica, quanto di più lontano da ogni forma di moderno esibizionismo. A quel tempo nessuno si turbava per simili visioni perché di suore ce n'erano tante, la loro presenza era famigliare, la loro vita particolare e però relativamente nota. Mentre oggi le religiose sono viste come marziane e il popolo del web, che molto ha commentato il sorprendente abito bianco, fatica a concepire che una giovane donna possa lasciarsi apericene e Instagram alle spalle per abbracciare Cristo. Nel nostro mondo di poca o nessuna fede il vero scandalo è prendere sul serio il cristianesimo. Ecco perché il vestito nuziale della novizia di Barletta (in quella Puglia da cui proviene quasi la metà degli abiti da sposa prodotti in Italia, fra l'altro) ha suscitato tutto questo scalpore.
Bisogna dunque ringraziare Carmen D'Agostino (oggi suor Maria Vittoria) che raggiante e biancovestita è stata capace di rinverdire una tradizione bellissima, di ricordarci che l'incontro con Gesù è una festa, non un funerale. Facendoci inoltre sospettare che la clausura sia in realtà un'apertura verso dimensioni che noi, storditi da internet e telefoni, non riusciamo nemmeno a immaginare.
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