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Così la burocrazia blocca le mascherine "milanesi"

Denuncia Salvini: "4 milioni di esemplari fermi perché senza bollino". Il caotico iter per ottenere il via libera

Così la burocrazia blocca le mascherine "milanesi"

Milano Mascherine milanesi bloccate dalla burocrazia. Lo denuncia il leader della Lega, Matteo Salvini, lo conferma il presidente della Regione, Attilio Fontana e lo spiega pazientemente anche Raffaele Cattaneo, assessore cui 17 giorni fa è stato affidato il compito di ricostruire una filiera locale. «In Lombardia 4 milioni di mascherine sono ferme - ha detto ieri Salvini - in attesa del bollino blu dello Stato. Ma sono testate dal Politecnico». Il governo, anche ieri ha dato i suoi numeri. «Oggi in Italia sono arrivate oltre 16 milioni di mascherine dall'estero» ha garantito il ministro Luigi Di Maio, mentre per il capo della Protezione civile Angelo Borrelli alla Lombardia è stata destinata «la maggior parte degli aiuti»: il 17% di circa 45 milioni pezzi. Il governatore, Attilio Fontana ha quantificato il fabbisogno regionale in 900mila mascherine al giorno». Cattaneo parla di un «errore tragico» del governo: aver assunto il compito di provvedere alla protezione dei medici in via straordinaria, senza poi riuscirci. «Abbiamo perso una finestra decisiva di due-tre settimane». Poi spiega che la burocrazia statale sta complicando la vita alla filiera lombarda.

Tre sono i fronti su cui è impegnata la Regione: le «normali» mascherine chirurgiche, i camici e infine le mascherine filtranti, le famose FFp3. Di mascherine chirurgiche ne sono state ordinate 250 milioni e ricevute 10 milioni. Si è capito che serviva una produzione locale. «Il Politecnico - spiega Cattaneo - ha individuato i materiali idonei e noi abbiamo individuato grandi produttori di pannolini e assorbenti come Fippi(a Rho) in grado di fare fino a 900mila pezzi al giorno». «Il problema - prosegue l'assessore - era l'autorizzazione in deroga: le mascherine non avevamo il marchio Ce. In base al decreto Cura Italia - spiega - ci si poteva aspettare un percorso rapido». La certificazione normale richiede tutta una serie di caratteristiche, fra cui la «biocompatibilità» e la Regione, con una lettera a Conte, ha chiesto formalmente che la certificazione in deroga avvenisse in presenza delle prove più «importanti»: capacità di filtrare virus e di lasciar respirare. Invece l'Istituto superiore della sanità ha richiesto per la deroga, le stesse prove previste normalmente. Insomma, il percorso alla fine risulta più lungo di quello consueto. Ora la Regione ha trovato a Catania un altro grande produttore che può farne 500mila al giorno, e ha seguito la normale certificazione con marchio Ce, ottenendola prima. Oggi si potrebbe sbloccare la situazione: «Obiettivo è arrivare a qualche milione di pezzi al giorno» dice Cattaneo. Camici e calzari sono prodotte per lo più all'estero, e bloccati alla dogana. Col Politecnico e Centro tessile cotoniero di Busto Arsizio, un organismo certificatore, è stato promosso un percorso simile, che coinvolge anche grossi nomi della moda. La Lombardia può arrivare a 10mila pezzi al giorno entro la prossima settimana. Terzo fronte, le FFp3. Un'azienda che produceva macchine per cerotti è stata coinvolta e ha messo a punto una nuova produzione.

Con il Politecnico e la Bls di Cormano, azienda pilota, la Regione sta mettendo a punto la filiera per fornire, entro una settimana, 2-300mila pezzi al giorno. Finora, fra acquisti centralizzati e ospedalieri, si è sopperito.

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