Racconti di una metamorfosi. Giulio Di Donato, ex ras socialista di Napoli, lo ha percepito addirittura per strada, al Vomero. «Mi fermano per strada - racconta - per dirmi: Con quello che abbiamo oggi, c'è nostalgia di voi. E io gli rispondo: Ve lo siete voluto. L'aria è cambiata del tutto». Giampaolo Sodano, un tempo uomo forte di Bettino Craxi in Rai, ammette che il vento è cambiato: «Una volta non potevi neppure pronunciare le prime due consonanti Cr... e veniva giù una valanga di insulti. Ora, invece, ti chiedono: Tu che l'hai conosciuto, Craxi, mi racconti?. Tutta un'altra storia». Anche i figli del politico più perseguitato della Prima Repubblica se ne sono accorti. «Sono andato alla proiezione del film su mio padre a Cesena e a Parma - è l'aneddoto di Bobo Craxi - e sono stato accolto con degli applausi in sala, neppure fossi Favino. Di fronte allo zero del presente è chiaro che uno comincia a pensare che, con tutti i loro difetti, quelli di prima non erano poi tanto male». «È tutta un'altra storia - osserva con soddisfazione Stefania Craxi -, ma è stato duro, eccome se è stato duro».
Ad Hammamet, tra i gli ultimi socialisti che ricordano il loro leader, arrivano gli echi di un ventennale, quello della morte di Bettino Craxi, che per la prima volta - nei fatti - si celebra anche in Italia. E non nelle istituzioni, quelle restano pigre («vediamo se il presidente Mattarella manderà un messaggio domani - oggi, ndr -», spera ancora Bobo), ma nell'opinione pubblica. Eh sì, la gente arriva prima: è successo con Tangentopoli; si sta ripetendo venti anni dopo con il suo contrario, con il ritorno della memoria su una vicenda che ha segnato la storia di questo Paese e che molti avrebbero voluto rimuovere. I segnali sono molteplici. Su Craxi sono usciti sei libri contemporaneamente. «Presunto colpevole» ha esaurito in tre giorni le copie in libreria. Il film di Amelio su Craxi nella prima settimana ha incassato oltre tre milioni, secondo solo a quello di Checco Zalone (e la richiesta delle sale che lo vogliono proiettare è raddoppiata). Ed ancora, una ricerca condotta dagli esperti di Identità Digitale dimostra che l'ex segretario socialista ha in rete un sentiment positivo superiore a quello di Giggino Di Maio. Se poi aggiungiamo che il «network» per antonomasia del giustizialismo italiano, Il Fatto, ha perso negli ultimi tempi l'11% di copie, si capisce che siamo di fronte ad un fenomeno non da poco.
La verità è che ad Hammamet, oltre a ricordare Craxi - è un paradosso -, dovrebbero festeggiare Grillo e company: sperimentare il grillismo di governo, in città come Roma o a livello nazionale, ha suscitato la nostalgia. Avere un ex bibitaro dello stadio San Paolo a capo della diplomazia italiana mentre si sfiora la guerra nel Mediterraneo, è un'esperienza terribile anche per lo stomaco robusto del più convinto populista. E il paragone con il passato, con il Craxi di Sigonella, è crudele. Già, il presente monda dai vizi i tempi che furono. Riportando alla mente delle pagine di Benedetto Croce che Craxi cita nel libro «Io parlo e continuerò a parlare», pagine che liquidano le fondamenta del grillismo, ridando luce alla figura del «politico»: «L'onestà politica non è altro che la capacità politica, come l'onestà del medico è la sua capacità di medico». Rispetto all'oggi un altro mondo. Anche nel Palazzo i politici più svegli e più scaltri hanno percepito la mutazione. E si adeguano. Le risonanze arrivano fin qui, ad Hammamet, al ventennale. Sergio Scalpelli, ex ds che ha ridato vita ad una vecchia creatura di Craxi, il centro internazionale di Brera, si è sentito dire da Matteo Renzi: «Io sono cresciuto con l'idea che Craxi fosse il male assoluto. Ora, invece, ho capito che è stato un grande statista». Berlusconi ha paragonato l'ex premier socialista a De Gasperi. Il leghista Massimo Garavaglia ne ha tessuto le lodi: «Per me la politica è decidere e Craxi era un decisore». Fabio Rampelli di Fratelli d'Italia lo considera un precursore: «È stato il primo dei sovranisti e l'ultimo grande statista della Prima Repubblica».
Bloccati e incerti restano solo i fratelli coltelli di una volta, gli eredi del Pci che ora guidano il Pd. Sono sordi, impacciati sull'argomento. Tanto che i piddini che sono venuti ad Hammamet non nascondono la propria irritazione per il silenzio di Zingaretti. «Si è persa l'occasione di una riappacificazione - si lamenta il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori - per il timore di irritare quei somari dei grillini». «Su questi temi - rincara l'economista Tommaso Nannicini - Zingaretti dovrebbe essere più rilassato». «Stanno regalando - insorge Gianni Pittella - Craxi alla destra. Stanno perpetuando l'errore di Occhetto». E il capogruppo dei senatori del Pd, Andrea Marcucci, per spronare i suoi arriva a dire: «Il pensiero socialista e libertario che ispirò Craxi fa parte del patrimonio valoriale del Pd».
La timidezza, però, di Zingaretti, Orlando e Bettini non è spiegata solo dalla valutazione politica che Craxi è un nome indigesto per l'elettorato grillino che vorrebbero riportare nella propria orbita, ma anche dalla cattiva coscienza. Nelle stanze della villa che Anna Craxi ha aperto a chi ha voluto partecipare al ventennale del marito (per inciso non c'erano i rubinetti d'oro, quelli delle fake news che costellavano la retorica di Tangentopoli di un tempo), si respirano i ricordi degli inganni e delle delusioni di quella lacerazione profonda che ha diviso la sinistra italiana. I ricordi di D'Alema e Veltroni che salgono sul camper di Craxi al congresso di Rimini per implorarlo di non andare alle elezioni anticipate che avrebbero spazzato via il Pds. La delusione dell'incontro con Gerardo Chiaromonte e Napolitano che comunicano a Craxi due anni dopo che «il partito ha preferito la via giudiziaria contro di lui e non il dialogo». Il leader socialista che negli anni dell'esilio fulmina Lucio Barani che gli fa il nome di D'Alema: «Quel nome non lo devi pronunciare più». Fino ai ricordi tragici delle ultime settimane. Il governo che rifiuta il ricovero di Craxi in un ospedale italiano da uomo libero e D'Alema che telefona all'allora capo del governo francese Lionel Jospin per pregarlo di ricoverarlo in Francia, ricevendone una risposta da brividi: «Anche noi abbiamo dei problemi. De Gaulle eliminò tutti gli ex membri del governo collaborazionista di Pétain con una bomba».
Momenti che non si scordano: «La frattura è rimasta - rimarca Stefania Craxi - ed è profonda». Solo che il primo che dovrebbe rimarginarla è proprio Zingaretti. Se si tornerà davvero al proporzionale il Pd per mettere in piedi una coalizione dovrà confrontarsi anche con questi mondi. Ad Hammamet già sognano che il nuovo sistema, che era proprio una vecchia proposta di Craxi, ridia respiro e importanza proprio a quell'area di confine che divide il Pd dal centrodestra. I lib-lab del tempo che fu. Un'area che con lo sbarramento del 5% sarà costretta, volente o nolente, a confederarsi. «Mettendo da parte i protagonismi - spiega l'azzurro Cattaneo - si potrebbe mettere insieme un soggetto che va da noi di Forza Italia fino a Renzi, passando per Cattaneo». «Se cambia la legge elettorale - ammette Bobo Craxi - è questa la prospettiva. Basta che tutti mettano da parte il loro egocentrismo». Un'area che, sommando insieme i vari soggetti, già ora supera l'8% e che potrebbe diventare l'ago della bilancia.
Ha interesse Zingaretti a spingerla verso Salvini? O sarebbe necessario quell'atto di coraggio che ad Hammamet non si è visto? «Credo - è la tesi di Stefania Craxi - che il maggioritario resterà, ma qualora così non fosse, chiunque guardi da questa parte dovrà fare i conti con la questione giudiziaria e con me. Se è un'analisi? No, è un messaggio».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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