Gli angeli di Victoria rischiano di rimanere a terra. Azioni a picco, dimissioni, polemiche sui canoni di bellezza: le grane, in casa Victoria's Secret, sono diverse e stanno esplodendo una dopo l'altra. Ma a fagocitare il brand di lingerie più famoso al mondo rischia di essere il motivo stesso per cui è nato 41 anni fa: l'essere sexy. Che alle donne del 2018, soprattutto negli Stati Uniti, non piace - o non interessa - più. Vuoi perché i tempi cambiano, vuoi per gli effetti collaterali del movimento #metoo, che rifiuta tutto ciò che è pensato per soddisfare l'occhio maschile.
L'ultima tegola a cadere sulla creatura fondata dall'imprenditore Roy Raymond sono state le dimissioni dell'ad del gruppo, Jan Singer, martedì scorso. Un passo indietro forzato, seguito alle frasi affidate a Vogue dal suo capo del marketing, Ed Razek: «Includere modelle oversize e transessuali? No, il nostro show è una fantasia, un intrattenimento di 42 minuti». Non poteva non scoppiare la polemica, con tanto di prese di posizione contrariate delle stesse modelle di Victoria's Secret. Ma è un dato di fatto che la casa di intimo non abbia mai voluto elevare al grado di «angelo» alcuna rappresentante del mondo curvy. In polemica con questo, un anno fa la più famosa modella dalle forme generose, Ashley Graham, su Instagram si è photoshoppata su una passerella in intimo con maxi ali di piume bianche. Solo una provocazione, dato che non è mai stata «reclutata» da Victoria. Un'altra defezione, infine, arriva da Pink, la linea di biancheria, abbigliamento da casa, accessori e cosmetici pensata per le più giovani: a fronte dei risultati deludenti, a fine anno la numero uno, Denise Landman, lascerà l'incarico.
Il brand dei completini intimi hot, insomma, non convince più. Secondo uno studio di Wells Fargo del settembre 2017, il 68 per cento delle clienti ha dichiarato di apprezzarlo meno che in passato, e il 60 per cento ha la percezione di un marchio «finto» e «forzato». Balconcini, pizzi, raso e trasparenze hanno stancato le donne americane: sono sempre di più le case che puntano su un tipo di intimo comodo, essenziale, minimalista nei colori e nei modelli. Per non parlare del movimento braless, di chi si rifiuta di indossare il reggiseno tout court, sia per motivi di comodità, sia per rivendicare un'indipendenza dallo stereotipo della donna che si strizza in pushup e ferretti per piacere al partner. E infatti anche il tradizionale show prenatalizio di Victoria's Secret - quest'anno in onda e in streaming il 2 dicembre - non ha più il fascino e il seguito di un tempo: se l'edizione del 2013 aveva fatto 9,7 milioni di spettatori, quella dell'anno scorso si è fermata a 5, come riporta il New York Times. Tre milioni in meno, per intenderci, di Rudolph, la renna dal naso rosso, film per bambini trasmesso due ore prima.
Tutto questo non può che tradursi in meno incassi. A Wall Street il titolo ha perso il 41 per cento dall'inizio dell'anno. Secondo Forbes i ricavi si sono ridotti del 9 per cento rispetto al 2016.
«Abbiamo perso la connessione con i nostri clienti - ha detto alla rivista Leslie Wexner, presidente e ad di L Brands, il gruppo che detiene tra le altre Victoria's Secret e Pink - Puntiamo sui nuovi leader che stanno entrando in azienda con prospettive fresche». Fondamentali per non soccombere all'era del #metoo.
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