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Criticare Parigi non risolve nulla

Criticare Parigi non risolve nulla

Che Dio stramaledica i francesi? Sì, va bene, e poi? Ammesso che l'instabilità libica sia alimentata da manine francesi più che da controversie tribali, ci si chiede quale sia la linea del governo italiano per far fronte alla duplice minaccia: all'interesse economico (Eni) e alla sicurezza nazionale (immigrazione). Non basta puntare l'indice contro Macron, come nel 2011 non bastò puntarlo contro Sarkozy. Se il ruolo della Francia si è espanso, evidentemente è perché quello dell'Italia si è contratto. E allora, qual è la nostra visione sul futuro della Libia? Quali alleanze internazionali stiamo coltivando per dargli corpo? Mistero. Paghiamo ancora l'errore di aver riconosciuto, sulla scia dell'Onu, come unica autorità politica legittima il tripolino Serraj. Il generale Haftar, ras di Tobruk, non ce l'ha perdonato. Ci ha chiesto armi e non gliele abbiamo date, né lo abbiamo coinvolto nel progetto sulle capitanerie di porto. Ovvio che ce l'abbia giurata. Oltre alla Francia e alla Turchia, lo sostengono la Russia e soprattutto l'Egitto. Se è vero che il nostro governo vanta un rapporto privilegiato con Putin, sarebbe ora si metterlo a frutto. Quanto all'Egitto, al-Sisi ha ipotizzato un «green corridor», un canale tra i nostri due Paesi per potenziare il commercio di beni agricoli. Varare in Italia piattaforme logistiche coerenti con quel progetto potrebbe essere per noi vantaggioso e rappresentare per lui una utile incentivo a fare pressioni su Haftar nell'interesse italiano. Qualcuno, al governo, ci sta pensando? Gli equilibri internazionali si coltivano piantando interessi, fertilizzando campi economici. E poi, certo, anche esibendo forza e presenza militare. Perciò è stato un errore non mandare a Tripoli un piccolo contingente composto da una cinquantina di addestratori che contribuisse a mettere in sicurezza la città. Sarebbe servito a rivendicare fattivamente quel ruolo guida che ci viene riconosciuto solo a parole. Un giorno dovremo ragionare sull'illusorietà dell'unità nazionale libica e sull'opportunità di incoraggiare la nascita di una confederazione. Intanto, dobbiamo darci una mossa. «Quando è in atto una crisi, la passività non fa che accrescere l'impotenza», ammoniva il vecchio Kissinger.

E denunciare le «cattiverie» compiute a nostro danno da presunti alleati non fa altro che ufficializzare quell'impotenza a cui dovremmo, invece, concretamente reagire.

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