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Crollo della Lady (per nulla) di ferro. Un monito per Usa ed Eurozona

Sognava la Thatcher, finisce con lo scaricabarile su Kwarteng. I fattori determinanti sono l'inflazione e il costo dell'energia

Crollo della Lady (per nulla) di ferro. Un monito per Usa ed Eurozona

Non ripetere gli errori commessi da chi si vuole emulare dovrebbe essere la prima regola per un capo di governo. È un caveat meritevole di evidenziatore fluo, il post-it da tenere sempre a tiro di sguardo. Liz Truss non l'ha fatto. Ingolosita da un piano di tagli fiscali che pensava profumasse di liberismo, non si è accorta che c'è modo e modo di tagliare le tasse. Margaret Thatcher, che per anni non ne aveva sbagliata una, cadde sull'impopolarissima «Poll Tax».

Lizzy rischia di far la stessa fine, a giudicare dal crescente malcontento fra i Tory e dai consensi in picchiata all'interno di un elettorato che, stremato dal carovita, sempre più numeroso scende in piazza per bruciare le bollette.

L'umiliante dietrofront sull'abbassamento dell'aliquota alle fasce più abbienti, uno dei punti più controversi di una manovra da Robin Hood della City, dimostra che la nuova Lady di Downing Street non ha nulla di Iron. Già l'aver attribuito la colpa del «mini-budget» al Cancelliere Kwasi Kwarteng è un'aggravante: in genere, è chi comanda a decidere. Dopo l'asilo, lo scaricabarile non è ammesso. A maggior ragione se, sotto il profilo contabile e quindi della credibilità sui mercati internazionali, la retromarcia non servirà a nulla. Gli analisti fanno per esempio notare che il mantenimento della tassa al 45% per chi ha redditi superiori alle 150mila sterline permetterà un risparmio di appena due miliardi, una goccia rispetto ai 100-200 miliardi dell'intero piano. Le cui coperture rimangono un mistero. È questo l'aspetto che ha inquietato tanto il Fondo monetario quanto Moody's e terrorizzato gli investitori fino a mettere al tappeto il pound e i Gilt, i bond della Corona. Una tempesta perfetta che rischiava di far fallire i fondi pensione: a causa della velocità di questa crisi, molti gestori sono stati costretti a liquidare le attività più liquide, obbligazioni a lungo termine o Gilt, provocando un calo ancora maggiore dei prezzi degli stessi bond.

I presunti stimoli economici sono del resto stati varati nel momento in cui la Banca d'Inghilterra era impegnata, a colpi di rialzi di tassi, a tenere a freno un'inflazione tracimata oltre il 10%. Dallo 0,1% dello scorso dicembre, il costo del denaro è stato alzato al 2,25%, nel maggior restringimento della maglie monetarie degli ultimi 27 anni. E il lavoro non era ancora finito. La manovra della Truss, già di per sé incendiaria per i prezzi, ha invece scombinato i programmi della BoE, costretta a intervenire con un piano di acquisto titoli da 65 miliardi e a rimandare, probabilmente «sine die», l'azione di alleggerimento del proprio bilancio. In pratica, via a un nuovo quantitative easing. L'inflazione ha vinto.

Ma con gli attuali livelli di indebitamento, non è solo Londra a non poter permettersi una crisi finanziaria. Ciò vale per gli Stati Uniti, dove la Fed, mentre ripristina la dottrina Volcker, tiene le dita incrociate nella speranza di non dover fronteggiare una doppia emergenza: recessione severa e caduta di Wall Street. E, a maggior ragione, ciò vale per l'Eurozona. Qui, le manovre espansive dei governi per alleviare famiglie e imprese dal peso dei rincari energetici già confliggono con le strette ai tassi decise dalla Bce.

Altri stimoli, soprattutto in vista della stagione più fredda, potrebbero accrescere le tensioni finanziarie e costringere alla resa anche Christine Lagarde.

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