«Magari lo avessero fatto anche con me. Magari mi avessero allontanato dalla famiglia. Mi sarei risparmiato la galera e quell'inutile e velenoso senso di onnipotenza che mi portava, poco più che quindicenne, a girare armato per Forcella e a riscuotere i saluti impauriti delle persone». Luigi Giuliano jr si chiama come lo zio, «'o rre» della camorra partenopea. E ha fatto parte della più potente famiglia malavitosa degli anni Ottanta in Campania. Quella di cui era amico Diego Armando Maradona ai tempi del Napoli scudettato.
Oggi, Luigi Giuliano jr è un uomo tranquillo che, dopo aver pagato i debiti con la giustizia, approva senza remore il progetto di legge, suggerito dal Csm, di togliere i figli agli affiliati alla criminalità mafiosa. «E non solo a loro spiega al Giornale ma anche a chi spaccia la droga, a chi vive di illegalità. Un bimbo che subisce la violenza di vedere i genitori che preparano le bustine di cocaina in cucina, nel giro di qualche anno, vorrà imitarli. E diventerà a sua volta un dispensatore di morte».
La risoluzione, messa a punto dalla sesta commissione del Consiglio superiore della magistratura, martedì prossimo sarà discussa dal plenum di Palazzo dei marescialli e prende le mosse dalle esperienze dei tribunali per i minorenni del Sud (in testa Reggio Calabria, Napoli e Catania), che di fronte a famiglie mafiose che inseriscono sin da piccoli i loro figli nelle dinamiche criminali dei clan, hanno adottato provvedimenti di decadenza o limitazione della potestà genitoriale, allontanando i minori da quell'ambiente ad alto rischio per il loro sviluppo psico-fisico e affidandoli a strutture poste al di fuori della regione di provenienza. Una scelta complessa e non priva di rischi, peraltro. Un anno e mezzo fa, infatti, un latitante di una cosca dell'area nord di Napoli imbracciò il kalashnikov, spalleggiato da una mezza dozzina di complici, e nella notte sparò un centinaio di proiettili contro la caserma dei carabinieri di Secondigliano. Colpevoli, ai suoi occhi, di aver sottratto i figli piccoli alla compagna, rimasta senza lavoro.
Una linea dura che il Csm condivide, ritenendo le famiglie mafiose «maltrattanti» per i loro figli al pari di quelle dove c'è un genitore tossicodipendente o che usa violenza fisica: provvedimenti di decadenza genitoriale sono un'extrema ratio, scrivono i consiglieri, ma possono diventare indispensabili per «proteggere il minore dal pregiudizio che gli deriva dalla violazione del suo diritto a essere educato nel rispetto dei principi costituzionali e dei valori della civile convivenza».
«Bisogna però capire una cosa ha sottolineato ancora Luigi Giuliano jr . Non basta togliere i figli ai malavitosi. È necessario poi seguirli, dar loro una educazione, offrirgli l'occasione di sviluppare una vita improntata alla legalità e al bene». L'esperienza di suo padre Nunzio Giuliano, dissociatosi dal clan e ammazzato il 21 marzo 2005 da killer rimasti ignoti, è illuminante. «Andammo a vivere lontano da Forcella - ha continuato -. Ma quando lui fu ingiustamente arrestato, disse ai giudici di salvare i suoi due figli, di tenerli lontani dal rione. Non fu ascoltato. Così, io tornai dai miei zii e feci apprendistato di malavita scoprendo la cocaina e la violenza. Mio fratello invece morì di overdose poco dopo».
Quando Nunzio Giuliano uscii dalla prigione, era già troppo tardi. «Crescendo, il suo esempio mi ha però salvato la vita conclude . Se quei magistrati gli avessero prestato attenzione, tanti orrori non sarebbero stati mai commessi. E io avrei avuto un'altra esistenza».
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