La storia della Tap è una storia degli orrori. Per l'ennesima volta dimostra l'inaffidabilità del nostro «Sistema paese», di cui tutti si riempiono la bocca. La breve cronaca che vi stiamo per fare, è il migliore spot per dire alle imprese straniere: allontanatevi dall'Italia.
Per le aziende che invece in questo paese ci campano, purtroppo c'è poco da fare. Altro che fuga di cervelli, la vera domanda è come sia possibile che qualcuno si ostini a rimanere. La nostra storia si compone di un attore, massimo d'Alema, questa volta il ruolo da protagonista non glielo toglie nessuno. E da una serie di comprimari: otto sindaci delle zone vicine all'approdo del tubo Tap e una serie di sceriffi, questa volta buoni, che sono i giudici di tribunali di ogni ordine e grado.
Un lustro fa, il nostro D'Alema, quando ancora era nel partito democratico, diceva in un'intervista televisiva che non bisognava raccontare sciocchezze ai cittadini e che il tubo che portava il gas in Italia si sarebbe dovuto fare e che si trattava di «un piccolo tubicino interrato che non comportava impatto»... Per chi non ci crede sul sito nicolaporro.it trovate il video originale.
D'altronde fu proprio D'alema, quando era premier, a firmare il recepimento di una direttiva europea (Direttiva 96/82/CEE), in cui (semplifichiamo) venne escluso il trasporto gas, comprese le stazioni di pompaggio, dalle dure prescrizioni della cosiddetta Legge Seveso.
Non contento di questo duplice atto, D'Alema qualche settima fa ha cambiato idea: «Dovrebbe far riflettere molti il modo in cui il governo nazionale ha potuto decidere con un proprio atto di imperio, dopo una lunghissima vicenda, l'approdo del gasdotto (Tap, ndr) in una delle aree turistiche più qualificate, con la pretesa di militarizzare il cantiere. Di fronte a tanta sfrontatezza, l'intera rappresentanza salentina avrebbe dovuto mettere la testa sotto terra per la vergogna».
Qua l'unico che si deve vergognare delle proprie tarantelle è chiaramente D'Alema. La cosa finirebbe qua, se si trattasse solo dell'ennesima presa di posizione di un politico, oggi, con scarso seguito. Il problema è che D'Alema alimenta il clima di ostilità verso un'infrastruttura innocua, utile per la nostra diversificazione energetica, e che ci siamo impegnati a fare.
Non parliamo della protesta delinquenziale, che sabota, distrugge e minaccia.
Ma di quella ben più efficace fatta in doppiopetto, e alla quale D'Alema evidentemente strizza l'occhio per avere quattro consensi in più.
Su ciò rischiando di doverseli spartire con esponenti come Barbara Lezzi del movimento cinque stelle, che sono imbattibili nel bloccare ogni tipo di infrastruttura.
Dopo tredici diversi procedimenti e giudizi contro Tap e suoi rappresentanti, tutti incontestabilmente vinti dal Tubo negli ultimi cinque anni, a fine 2017 otto sindaci, non contenti, hanno fatto l'ennesimo esposto penale (a cui evidentemente si ispira D'Alema) contro i rappresentanti del Tap e del ministero.
Soldi pubblici buttati nel cestino e minacce giuridiche nei confronti di amministratori che rischiano carriera e quattrini solo per alimentare la campagna elettorale e demagogica di politici che non vedono più in la del loro naso.
Le contestazione sono sempre sulla famosa applicabilità della legge Seveso. Dopo che due volte al Tar, una volta al consiglio di Stato e persino un giudice penale hanno scritto nello loro sentenze che la legge Seveso (quella che D'Alema dovrebbe conoscere bene) non si applica ad un tubo, gli otto sindaci continuano facendo finta di niente: tanto non pagano loro per queste cause temerarie. In realtà sperano che alla fine tra tanti magistrati, uno che gli conceda un piccolo rinvio o supplemento di indagine lo trovano.
A quanto si sa, la riapertura dell'inchiesta sarebbe stata decisa perché gli 8 sindaci no Tap hanno chiesto di considerare il Prt (cioè il terminale di ricezione del gas) e il gasdotto di interconnessione alla rete nazionale (di Snam) un impianto unico da Melendugno a Brindisi e, dunque, di valutare se debba essere soggetto a una nuova valutazione di impatto ambientale. Tutte balle. I giudici, con delle sentenze chiarissime, hanno fatto capire che laddove arriva il tubo, non si manipola alcunché. I locali sono in sicurezza.
E dunque non si devono richiedere nuove autorizzazioni o fare nuove richieste.
Eppure in una sorta di tela di penelope giudiziario-burocratica, gli amministratori pugliesi cercano di rallentare, frenare, denunciare, questionare.
Ci troviamo in un paese in cui anche rispettare le nostre leggi più farraginose e garantiste non è sufficiente.Un paese in cui un politico, ritenuto «serio e affidabile» come D'Alema, si rimangia una propria legge e la propria parola per ottenere quattro voti in più.
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