Direttori e conduttori Rai: il regime di De Benedetti

La rete dell'editore: da Giannini a Verdelli, chi oggi occupa posti chiave nella tv di Stato ha un passato a Repubblica. Il centrodestra denuncia: "È il padrone dell'informazione"

Direttori e conduttori Rai: il regime di De Benedetti

La Grande Concentrazione. Il giorno dopo la fusione delle due società editoriali L'Espresso e Itedi e il matrimonio tra Repubblica e Stampa, la politica si interroga - con timidezza pari all'indignazione riservata in tempi recenti all'operazione Mondadori-Rizzoli - sui riflessi della nascita di un grande polo da 750 milioni di ricavi capace di controllare circa il 25% dell'informazione italiana. Alla Camera, in un Transatlantico in formato giovedì pomeriggio, con i trolley nascosti dietro le poltrone e la testa all'orario del treno in partenza, non si respira certo la preoccupazione che in altri tempi - quelli dei girotondi e degli appelli degli intellettuali per la libertà di informazione - era di ordinanza. Difficile sentir risuonare la parola «pluralismo» oppure imbattersi in ragionamenti sui riflessi politici, editoriali, identitari, di relazione con il territorio innescati dalla rivoluzione editoriale appena consumata.Di domande ce ne sarebbero. Ad esempio: quale sarà il prossimo passaggio, la prossima conquista o la prossima tentazione di Carlo De Benedetti? Come si svilupperanno ora i rapporti tra la maggioranza renziana e il nuovo polo editoriale, certo non ostile al premier? Senza dimenticare la presenza in Rai di professionisti e giornalisti di rango che possono vantare un passato nel gruppo dell'Ingegnere o collaborazioni recenti o lontane nel tempo con Repubblica come l'ex vicedirettore del quotidiano, Massimo Giannini, oggi conduttore di Ballarò; il neodirettore di RaiSport, Gabriele Romagnoli, il direttore editoriale dell'informazione Rai, Carlo Verdelli (il cui curriculum è però segnato soprattutto dalla lunga militanza in Rcs) o il vicedirettore del Tg2 Stefano Marroni.Di certo il trait d'union naturale per questa operazione sarà Mario Calabresi, oggi direttore del quotidiano di Largo Fochetti dopo una carriera iniziata all'Ansa e poi sviluppatasi tra Stampa e Repubblica. Naturalmente restano da superare alcuni passaggi. L'Antitrust attende i dati dell'Agcom sulle sovrapposizioni delle vendite provincia per provincia per esprimersi. Ma certo non sembra esserci nel Paese e in Parlamento un clima da tempesta montante. I grillini si disinteressano del caso. Nel Pd si leva una voce solitaria, quella di Michele Anzaldi che giudica la fusione «una cosa negativa perché meno pluralismo c'è, peggio è, ma vista la crisi mi pare un atto dovuto». L'ex direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli, non vede rischi per il pluralismo, «piuttosto da milanese mi preoccupa il destino del Corriere della Sera». Il leader della minoranza Pd, Gianni Cuperlo, individua nella concentrazione editoriale «un elemento di preoccupazione» e fa notare come Repubblica ultimamente, vista la sua linea editoriale sia meno «giornale-partito» e più «partito-giornale». Sulle barricate sale comprensibilmente il centrodestra. «De Benedetti è il nuovo padrone dell'informazione in Italia. Che ne dice Renzi? Un conglomerato di interessi e finanza di questo tipo è una cosa mai vista» attacca Renato Brunetta. Augusto Minzolini - un passato da cronista politico di razza proprio alla Stampa - fa rilevare la «mastodontica concentrazione di potere editoriale» e paventa un rischio di subalternità per il quotidiano torinese, oltre a soffermarsi sulla differenza antropologica dei due giornali nel rapporto con la politica.

Va dritta al punto Daniela Santanchè: «Povero Avvocato, consegnano il suo giornale al suo principale nemico. Dove sono i giornalisti e il loro sindacato? Se i protagonisti fossero stati altri sarebbe già scattato lo sciopero generale. E invece tutti zitti, allineati e coperti».

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