«Ora la priorità è mettere a terra i 155 miliardi e attuare le misure», ha scritto ieri su Twitter il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, ben consapevole che tra l'autorizzazione alla spesa votata dal Parlamento e il testo del dl Rilancio resta qualche discrepanza sulla quale la Ragioneria generale dello Stato sta avanzando alcune obiezioni. Di qui il blocco sostanziale del provvedimento. A Via XX Settembre continuano ad assicurare che entro oggi dovrebbe essere in Gazzetta Ufficiale (o quanto meno ricevere la bollinatura definitiva), ma è possibile che si attenda lunedì per mettere a punto gli ultimi dettagli.
In realtà, la Ragioneria avrebbe dato già il proprio assenso al testo uscito da Palazzo Chigi mercoledì scorso, ma nel viaggio di ritorno verso i palazzi romani la solita «manina» ha inserito nuovi articoli e nuovi commi che ora ne fanno traballare l'impianto. Fonti Pd danno la colpa agli alleati Cinque stelle che avrebbero «gonfiato» alcune strutture di consulenza presso il ministero dello Sviluppo retto dal grillino Patuanelli. Accuse che vengono rispedite al mittente dall'M5s che accusa la componente di sinistra, dal ministero della Salute a quello della Difesa, di aver sfondato i limiti di spesa concordati. Il vero tema dirimente, però, è la cassa integrazione: lo stanziamento di 15 miliardi potrebbe non essere sufficiente se alcune aziende dovessero ricorrere alla possibilità di estendere l'ammortizzatore alle 18 settimane complessive concesse dal decreto nel caso in cui le 9 settimane massime fossero state già utilizzate prima della pubblicazione del decreto.
E così lavoratori e imprese restano in attesa, appesi come in questi ultimi 45 giorni alle incertezze della maggioranza e alle difficoltà del premier Conte nel riuscire a portare a sintesi le diverse istanze. Il passaggio parlamentare non si annuncia facile: i renziani, ad esempio, già spingono per un allargamento di eco- e sismabonus al 110% anche alle seconde case. Un'ipotesi che potrebbe costare ben più degli 800 milioni che Gualtieri ha tenuto in serbo per gli «assalti alla diligenza» di Montecitorio e Palazzo Madama. Senza contare che i 7 miliardi già previsti per l'incentivo potrebbero non essere del tutto coperti. Il Pd, inoltre, vorrebbe tornare alla carica sulle «mance» alle amministrazioni locali in vista delle prossime elezioni comunali e regionali.
È difficile pronosticare, allo stato dell'arte, uno sfaldamento della maggioranza, tuttavia iniziative estemporanee potrebbero determinare una interminabile serie di stop-and-go che riproporrerebbero le impasse che già si sono verificate sul dl Rilancio. Ad esempio, il sottosegretario all'Economia, Alessio villarosa (M5s) ha annunciato la presentazione di un emendamento al dl Imprese per la costituzione di una banca pubblica che possa erogare direttamente i finanziamenti alle imprese visto che, alla data di ieri, risultavano erogati mutui anticrisi alle imprese per un importo complessivo di 3,5 miliardi di euro, un ammontare esiguo rispetto alle dimensioni della crisi.
Il vero banco di prova, tuttavia, sarà il prossimo giacché, teatrini a parte, la conversione dei decreti è imprescindibile. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è atteso al varco dal decreto semplificazioni (o Sblocca cantieri).
I Cinque stelle e Italia Viva insistono per seguire il «modello Genova» affidando il ruolo di supercommissari alle opere cantierabili agli ad di Anas e di rete ferroviaria italiana per rilanciare investimenti su strade e alta velocità liberando una potenza di fuoco da oltre 100 miliardi e mettendo in quiescenza il Codice degli Appalti. Ma il Pd è troppo amico della burocrazia per dire sì.
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