Donald minaccia ancora l'Iran. Ma è giallo sul ritiro dall'Irak

Prima l'annuncio del «riposizionamento» dei militari americani dopo il voto di Bagdad, poi arriva la smentita

Donald minaccia ancora l'Iran. Ma è giallo sul ritiro dall'Irak

Continuano a soffiare venti di guerra in Medio Oriente, con Donald Trump che torna a minacciare l'Iran, ma che verso l'Irak comincia a mostrare una posizione più accondiscendente dopo il voto del Parlamento di Baghdad sull'espulsione delle forze straniere (americane in primis) dal Paese. Anche se è giallo sul comandante delle forze americane in Irak, il generale William H. Seely che ha annunciato un «riposizionamento» delle forze della coalizione «in vista di un ritiro» dal Paese, nel rispetto della «vostra decisione sovrana». Ma con il capo del Pentagono che non ha confermato l'esistenza della lettera e un generale che ha parlato di una bozza che non doveva essere inviata. Secondo il capo del comando interforze Mark Milley, si sarebbe trattato di «un errore di McKenzie», il comandante del Comando centrale Usa e di una lettera che «non doveva essere inviata». Un vero e proprio giallo che dimostra la gravità della situazione.

Il presidente Usa, invece, ha poi ribadito che se l'Iran attaccherà gli Stati Uniti ci saranno «reazioni sproporzionate», rilanciando la possibilità di colpire anche siti culturali della Repubblica Islamica in caso di una rappresaglia di Teheran per l'uccisione del generale Qassam Soleimani. Nonostante si tratti di crimini di guerra. «A loro è consentito uccidere, torturare e mutilare la nostra gente e a noi non è consentito toccare i loro siti culturali? Non funziona così», ha tuonato il tycoon. Domenica il Commander in Chief aveva già affermato su Twitter di aver individuato 52 siti iraniani «che potranno essere attaccati molto rapidamente», spiegando come il numero 52 corrisponda «agli ostaggi americani catturati molti anni fa» nell'ambasciata Usa a Teheran. Affermazione su cui il segretario di Stato Mike Pompeo aveva gettato acqua sul fuoco, assicurando che qualunque azione militare contro Teheran rispetterà le leggi. Nel giro di poche ore è seguito lo strappo definitivo dell'Iran sul nucleare con l'annuncio che arricchirà l'uranio «senza restrizioni in base alle sue esigenze tecniche», ultima fase di disimpegno dall'intesa siglata nel 2015. «L'Iran non avrà mai l'arma nucleare», ha replicato Trump. Ma la consigliera della Casa Bianca Kellyanne Conway ha precisato che il Commander in Chief «è aperto» a rinegoziare l'accordo: «Se Teheran vuole iniziare a comportarsi come un Paese normale... certo, assolutamente».

Intanto, a Washington, i democratici stanno tentando di bloccare nuovi raid del presidente contro la Repubblica Islamica. La speaker Nancy Pelosi ha annunciato che la Camera a guida dem voterà questa settimana una risoluzione sui poteri di dichiarare guerra per limitare eventuali azioni militari. «La scorsa settimana, l'amministrazione Trump ha condotto un raid aereo provocatorio e sproporzionato contro obiettivi militari iraniani di alto livello - ha scritto Pelosi in una lettera ai colleghi - Azione che ha messo in pericolo i nostri militari e diplomatici rischiando una grave escalation con Teheran». «Come membri del Congresso la nostra prima responsabilità è quella di proteggere il popolo americano». Il documento «riafferma le responsabilità di supervisione del Congresso, imponendo che se non intraprenderà ulteriori azioni le ostilità militari nei confronti dell'Iran cesseranno entro 30 giorni». Sabato scorso, nel frattempo, la Casa Bianca aveva inviato al Congresso una notifica formale dell'attacco per uccidere Soleimani ai sensi del War Powers Act.

Per legge la notifica deve essere inoltrata entro 48 ore dal momento in cui le forze Usa entrano in ostilità con altri Paesi, ma i detrattori del presidente mettono in dubbio che abbia il potere di colpire senza chiedere l'autorizzazione a Capitol Hill.

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