E il 5 Stelle imputato per corruzione è tornato a presiedere il Campidoglio

De Vito a processo a dicembre. L'imbarazzo dei colleghi di partito

E il 5 Stelle imputato per corruzione è tornato a presiedere il Campidoglio

Roma Heri dicebamus. Inizia con una citazione latina (che rievoca l'odissea giudiziaria del compianto Enzo Tortora) il secondo tempo di Marcello De Vito come presidente dell'assemblea capitolina. L'esponente grillino - arrestato lo scorso 20 marzo nell'ambito dell'inchiesta sul nuovo stadio della Roma, perché secondo la procura avrebbe intascato tangenti in cambio di agevolazioni per l'iter del progetto del costruttore Luca Parnasi - era tornato libero dagli arresti domiciliari lunedì scorso. Lo attende comunque il processo tra due settimane, il 4 dicembre, ma intanto «mister preferenze», il più votato alle elezioni del 2016 (6.451 i consensi raccolti), è tornato sullo scranno della presidenza dell'Aula Giulio Cesare. Innescando la reazione delle opposizioni e provocando imbarazzo agli ex compagni di Movimento, con i pentastellati divisi tra gli applausi e le prese di distanza. A cominciare dal sindaco, Virginia Raggi, che ha incontrato De Vito per un breve faccia a faccia lontano dalle telecamere per poi disertare però la seduta del consiglio comunale.

Arrivato in Campidoglio accompagnato dalla moglie, De Vito è entrato in aula salutato dagli applausi di parte dei consiglieri. «È un piacere e un onore tornare a presiedere questa Aula e ritrovare i colleghi», ha detto dopo l'esordio in latino, riprendendo il suo scranno 8 mesi dopo l'arresto. Ovviamente la sua epifania non è avvenuta senza strascichi polemici. Per cominciare, con l'invito a riflettere se farsi da parte, arrivato dalle opposizioni. Andrea De Priamo, capogruppo di Fdi, ha espresso dubbi sulla «opportunità politica della sua permanenza come presidente». E anche il presidente dei consiglieri Pd, Giulio Pelonzi, ha suggerito a De Vito di dimettersi, «anche alla luce dell'imminente dibattito sui poteri di Roma Capitale».

Ma i veleni per De Vito lo hanno riservato compagni (ed ex compagni) di partito. Come Enrico Stefano, già facente funzioni al posto del collega arrestato, che però a luglio aveva scelto di dimettersi dopo la decisione di non procedere con la delibera di revoca per De Vito. E che ieri, pur dicendosi felice di «vederlo qui», ha ribadito l'invito a una riflessione «inevitabile», chiedendogli di togliere il disturbo. Ancora più netta la posizione di Cristina Grancio, espulsa dal M5s ad aprile dello scorso anno proprio per le sue posizioni barricadere contro il nuovo stadio, e ovviamente col dente avvelenato, che ha abbandonato l'aula per manifestare il suo sdegno. De Vito però non solo intende assistere al suo processo «da uomo libero», come aveva detto lasciando i domiciliari, ma anche da presidente d'Aula, a meno che l'Aula stessa non si esponga, cacciandolo.

Tanto da ringraziare i colleghi «dell'appunto e del richiamo ai doveri della mia funzione, che accolgo certamente», spiegando però che «non c'è alcuna istanza di revoca con 24 firme, laddove ci dovesse essere sarà cura della presidenza calendarizzarla».

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