E all'Istruzione ora può andare Morra il professore che dà lezioni di manette

La sua teoria ultra giustizialista: "Siamo tutti dei sospettati"

E all'Istruzione ora può andare Morra il professore che dà lezioni di manette

Fuori il professore che voleva tassare le merendine, dentro mister intercettazione. Al ministero dell'Istruzione vanno di moda personaggi eccentrici: si dimette Lorenzo Fioramonti, l'uomo che voleva recuperare soldi dagli snack delle macchinette, ed ecco che il gioco delle illazioni accredita come suo successore Nicola Morra, senatore grillino dal 2013, un ortodosso ammesso che le definizioni abbiano ancora un senso nel caos pentastellato, di sicuro un giustizialista duro e puro. Molti compagni di partito hanno nel tempo ammorbidito le posizioni e riempito di eccezioni le regole applicate senza deroghe agli altri, lui no, si è attrezzato per resistere sulla linea dell'intransigenza.

Doppia durezza. Teorica e pratica. Per capirci, Morra non voleva Sergio Mattarella al Quirinale con la più grillina delle motivazioni: «Mattarella viene da una tradizione che in relazione alla mafia ha tanto da chiarire e da farsi perdonare». Sospetti. Retropensieri. Suggestioni. E pazienza se i fatti possono incrinare questa cupa visione della realtà: per la cronaca il fratello di Sergio, Piersanti, presidente della Regione Sicilia, fu assassinato da Cosa nostra, anche se i killer sono rimasti senza nome, e per quell'omicidio avvenuto giusto 40 anni fa sono stati condannati i boss della Cupola. Un pizzico di rispetto in più non avrebbe guastato.

Ma Morra è anche capace come un militante di passare all'azione: a suo tempo si presentò in caserma con il dvd contenente un'intercettazione ambientale realizzata nel suo soggiorno; l'«agente» pentastellato aveva registrato sottobanco il dialogo con un indagato, Giuseppe Cirò, ex caposegreteria del sindaco di Cosenza, Mario Occhiuto.

Ma il meglio di sé il senatore, classe 1963, genovese ma trapiantato in Calabria dove insegna storia e filosofia alle superiori, l'ha dato alla presidenza della Commissione antimafia. Lui segue, come ha raccontato Il Foglio, il modello Davigo. Rigore e ancora rigore. Ma il presidente non si accontenta dell'originale e ci mette del suo: così definisce Sandra Lonardo «una sospettata». Non si capisce bene di che cosa, visto che lady Mastella è stata assolta dopo dieci anni di processi da tutte le accuse, ma questi sono dettagli. Cosi il senatore lancia altri bengala in quello che lui ritiene il cielo del malaffare: «Abbiamo il dovere di garantire sempre la tutela nei confronti di chi possa essere sospettato ma abbiamo parimenti il dovere di tutelare le ragioni dello Stato. Lo Stato siamo noi e un po' di sano egoismo in termini di prudenza preventiva non guasta».

Cesare Beccaria, e non solo lui, si rivolterà nella tomba, ma questo passa il convento dei moralizzatori della nostra politica.

Quando il Foglio ha provato a chiedere spiegazioni, Morra si è superato: «La Lonardo è una senatrice che ha la stessa dignità e la stessa meritevolezza di essere attenzionata». Si resta sbalorditi davanti a questo gergo da questurino, più oscuro di una poesia di Ungaretti.

Ma insomma, quale sarebbe il peccato originale della Lonardo? «Siamo tutti sospettati, a partire dal sottoscritto», è la replica quasi comica che chiude ogni discussione. Presto sapremo se questo campione del diritto e della lingua italiana sarà il successore di Benedetto Croce e Giovanni Gentile.

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