Metà Libia continua a mostrare i denti contro l'Italia puntando il dito contro l'imminente missione navale che dovrebbe fermare i migranti bollata come violazione della «sovranità nazionale». E minacciando «conseguenze» non meglio specificate. Il generale Khalifa Haftar, padre-padrone della Cirenaica, alleato dell'Egitto e spalleggiato dalla Francia, ha lanciato l'ennesimo monito contro il nostro Paese.
Il Comitato nazionale libico, organismo per la difesa e sicurezza del parlamento di Tobruk non più riconosciuto dall'Onu, ha emesso un duro comunicato contro la missione italiana. L'invio di una miniflotta militare nelle acque di fronte a Tripoli per fermare i barconi viene definito «un pretesto» per interferire negli affari interni della Libia. Secondo gli uomini di Haftar si tratta di «un flagrante intervento militare in combutta con il consiglio di presidenza incostituzionale e illegale», come viene definito il governo di Fayez al Serraj a Tripoli appoggiato dalla comunità internazionale a cominciare dall'Italia.
Il nostro Paese viene messo in guardia dal duro comunicato, che considera l'operazione navale una «violazione della sovranità dello Stato libico» che porterà a delle «conseguenze». Non si spiega di cosa si tratti nello specifico, ma Haftar comanda l'autoproclamato esercito libico e nel caos post-Gheddafi minacce del genere possono significare attacchi o attentati.
Al Serray e Haftar si sono incontrati la scorsa settimana a Parigi per volontà del presidente francese, ma rimangono ai ferri corti. La posta in gioco è il riconoscimento politico e il controllo sul futuro del Paese. Non a caso il ministro degli Esteri, Angelino Alfano, ha ricordato ieri che il presidente Emmanuel Macron aveva convinto i due leader libici a un accordo sul cessate il fuoco ed elezioni nel 2018. «A quanto convenuto a Parigi - ha ribadito Alfano - devono seguire fatti e comportamenti concreti». In realtà, nella palude libica, sta accadendo, come sempre, il contrario grazie a un intreccio di interessi che riguarda anche lo sfruttamento energetico del Paese. La Francia fin dai bombardamenti che hanno fatto crollare il regime di Gheddafi punta a scalzare l'Italia. Parigi sta ipotecando le risorse petrolifere della Cirenaica, feudo di Haftar, che ai tempi del colonnello erano nelle nostre mani. L'Italia si è «ritirata» in Tripolitania, dove dovrebbe comandare Al Serraj. Ieri il premier libico ha incontrato a Tripoli l'amministratore delegato dell'Eni, Claudio Descalzi. Sul tavolo la seconda fase di sviluppo di Bahr Essalam, uno dei più grandi giacimenti in Libia e fonte di approvvigionamento di gas per il Greenstream che arriva fino a Gela.
Questa fase prevede il completamento di dieci pozzi offshore, di cui nove già perforati nel 2016. L'Eni si è aggiudicata il contratto di fornitura e installazione delle strutture con l'arrivo del primo gas in Sicilia nel 2018, ipotetico anno di elezioni nazionali nella divisa Libia.
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