E le mamme tornano a partorire in casa

Nel 2016 sono state un migliaio. In gran parte donne giovani e benestanti

E le mamme tornano a partorire in casa

L'ultima, in ordine di tempo, è stata Beyoncé. Lo scorso giugno la pop star americana ha speso circa due milioni di dollari per dare alla luce il suoi due gemelli - un maschio e una femmina - fra le mura di casa. La cifra è servita per pagare un pool di medici, ma anche per acquistare tutta l'attrezzatura necessaria. Incubatrici di ultima generazione comprese. La decisone è stata presa in nome della privacy, sulla scia di molti altri vip. Da Cindy Crawford alla cantante Giorgia, in molte hanno preferito evitare le corsie di ospedale. E oggi giurano di aver fatto la scelta migliore. Così la pensano anche tante donne meno note. Sempre di più, secondo le ultime statistiche dell'Associazione nazionale culturale parto in casa. Solo nel 2016 in Italia i parti domiciliari sono stati 470mila, circa il due per cento del totale. Un numero superiore rispetto agli anni passati. La maggior parte delle richieste arriva dal Centro Nord - al Sud manca un numero adeguato di ostetriche specializzate - ma non sempre alla domanda corrisponde un'offerta valida. Sono, infatti, per lo più i privati a offrire questo tipo di servizio. Che costa molto: in media 2.500 euro a persona per l'assistenza. A fronte di questo, solo poche Regioni riconoscono un incentivo: Piemonte, Marche e Trentino Alto Adige. Proprio la città di Trento garantisce un bonus di mille euro, aumentato rispetto ai precedenti 800. Poi c'e l'Emilia Romagna che mette a disposizione 1.542 euro e il Lazio, con 800. Per tutti gli altri partorire in casa significa spendere moltissimi soldi. Nonostante le difficoltà, la pratica - per molto tempo relegata al passato, e per lo più alle classi meno abbienti - sta tornando attuale. Come è già successo da tempo all'estero. Il Paese di gran lunga più attrezzato è l'Olanda (un bambino su tre nasce in casa), seguita da Nuova Zelanda, Gran Bretagna, Giappone, Stati Uniti e Finlandia. Eppure questa pratica non è per tutti. Chi decida di farvi ricorso deve innanzi tutto rivolgersi a un centro specializzato, sarà poi l'ostetrica a valutarne l'opportunità in base alle condizioni di salute. Intanto la gravidanza non deve presentare alcun fattore di rischio e non deve essere gemellare. Poi la casa non deve distare più di trenta minuti da un ospedale attrezzato per risolvere eventuali emergenze. Proprio per questo la percentuale di domande respinte è abbastanza alta. Anche perché, come conferma un recente studio condotto dal New England journal of medicine, l'incidenza di mortalità - fra chi sceglie il parto domiciliare - resta sempre abbastanza alta. Secondo le ultime statistiche, i decessi alla nascita entro il primo mese di vita riguardano 3,9 bimbi ogni mille. Quelli relativi ai parti ospedalieri si fermano invece a 1,8 ogni mille. Sono molto alti anche i rischi di convulsioni, ventilazione per il nascituro e trasfusioni per la donna. Molte delle quali, proprio a causa delle complicazioni, alla fine sono costrette a ricorrere all'ospedale: lo scorso anno nel nostro Paese sono state circa 600. Restano, secondo i ricercatori, alcuni vantaggi psicologici. La minore medicalizzazione del parto e l'approccio più umano e personale del medico renderebbero l'esperienza meno traumatica, sia per la mamma sia per il bebè. Proprio per questo a sceglierla sono soprattutto donne giovani: in media le mamme che ricorrono al parto domiciliare hanno fra 24 e 40 anni. Sono per lo più lavoratrici e con un livello di istruzione medio-alto. Inoltre preferiscono la convivenza al matrimonio e sono al primo figlio.

La loro scelta nasce dalla volontà di evitare le rigidità

tipiche degli ospedali, ma anche di vivere il parto in modo totale. In casa non è infatti possibile ricorrere all'anestesia epidurale, il dolore è quindi inevitabile. Per loro, insomma, le priorità sono naturalezza e lentezza.

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