Economia

Ecco chi sono i poteri forti che vogliono far vincere il No

Banchieri e manager sono convinti che al Paese serva una cura choc per l'economia. Che il Sì rimanderebbe

Ecco chi sono i poteri forti che vogliono far vincere il No

L'equazione poteri forti + finanza + banche = votare «Sì» al referendum non è così granitica. Ancora ieri il presidente di Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti, ha detto che la vittoria del «No» può avere «grosse conseguenze sulla nostra economia e sul nostro sistema bancario». Eppure ci sono autorevoli eccezioni. Che però sono quelli che non vogliono svelare di votare controvento: non ci mettono il nome e il cognome.

Sta di fatto che nei salotti milanesi più insospettabili, siedono anche il famoso banchiere, il grande azionista della spa quotata e l'imprenditore di successo che domenica 4 dicembre voteranno no. Insieme con tanti altri di loro. Non sono grillini; non sono antieuro; non sono per Trump; e non sono nemmeno pazzi. Ognuno di loro, dal rispettivo angolo visuale, conosce bene la salute economica del Paese; il debito pubblico e le sofferenze bancarie. È partendo di qui che hanno deciso di voltare le spalle a Matteo Renzi.

Qualcuno voterà «No» perché è convinto che la vera polizza assicurativa sull'Italia non sia il governo Renzi, ma il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi. Il quale, con l'acquisto di titoli di Stato del suo «quantitative easing», permette allo spread tra Btp e Bund di stare dove sta e non essere già esploso da tempo.

Qualcuno voterà «No» perché vuole restare in Europa e nell'euro, ma teme che non si possa evitare una cura da cavallo. Mentre vede tutta la propaganda del «Sì», con il suo recente portato di toni anti-comunitari, come un rischio forte che questo esecutivo diventi sempre più inviso e isolato a Bruxelles.

Qualcuno voterà «No» perché crede che le banche italiane non si possano salvare: servono almeno 20, qualcuno dice 30, i più apocalittici 50 miliardi per mettere in sicurezza Mps & compagnia: missione impossibile, inutile illudersi che il 5 dicembre, vincendo il «Sì» il gioco sia fatto. Lo stesso problema si ripresenterà più in là. Tanto vale affrontarlo subito, costi quel che deve costare. E meglio ancora se lo si fa con la Costituzione che dà le migliori garanzie di fronte a una situazione che potrebbe diventare drammatica.

Infatti qualcuno voterà «No» perché è convinto che la riforma costituzionale della legge Boschi indebolisca i contrappesi della democrazia, consegnando troppo potere nelle mani del premier. Non perché aumenti il potere del presidente del Consiglio: la nuova versione della carta non lo prevede. Ma perché diminuendo quello di altri soggetti, giocoforza si rafforza il potere del premier.

Allora qualcuno voterà «No» perché non vuole correre il rischio che un Paese sull'orlo di una nuova enorme crisi finanziaria e bancaria in particolare finisca con l'essere governato da un premier inadatto. Non un Renzi né un Berlusconi, per intenderci. Ma un soggetto considerato «pericoloso». Una sorta di «dittatore dello Stato libero di Bananas» perché - per effetto del combinato disposto della nuova Carta e dell'Italicum - può prima essere eletto con una esigua maggioranza di elettori; e poi esercitare un enorme potere di governo.

In altri termini ci sarebbe, in questo passaggio, la poison pill, la pillola avvelenata di un paradosso: per eleggere un governo che conta molto di più, basteranno molti meno elettori.

Qualcuno voterà «No» anche nei piani alti e nei salotti buoni, dunque.

Ma ben sapendo che il 5 dicembre, comunque vadano le cose, non ci sarà niente da festeggiare.

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