Ci sono cose brutte che non si riescono a dire, ma che davanti a un foglio bianco possono trasformarsi in parole dell'anima. Sono i disegni dell'orrore che vorresti soffocare e che però si svelano da soli. Muovendo la matita che stringi nella mano e tracciando segni segreti, come accade con la scrittura automatica: quella che mette in contatto i medium col mondo dei defunti.
Anche Chicca Loffredo, 6 anni, aveva dentro di sé un'ombra spaventosa come uno spettro. Quando la maestra le disse, «Fai un bel disegno», Chicca dette forma all'incubo e il «bel» disegno divenne bruttissimo (guarda i disegni di Fortuna). La maestra non lo capì, non poteva capirlo. Invece la grafologa e la psicologa nelle cui mani finirono quei ritratti, compresero subito: Chicca era prigioniera delle tenebre, un orco la insidiava. Da anni un mostro abusava di lei e alla fine l'ha gettata nel vuoto, come si fa con un sacchetto di spazzatura. La «colpa» di Chicca? Ribellarsi all'ennesimo stupro.
Agli avvocati della famiglia Loffredo va riconosciuto il merito di aver capito tutto in anticipo; quegli scarabocchi seminati da Chicca nel campo arato della sua coscienza erano germogli per far sbocciare verità nascoste. E così è stato. Fogli colorati, pagine con figure rivelatrici, graffi neri che scolpiscono il cuore ancor prima della carta. Un materiale che da due anni fa parte del fascicolo giudiziario con l'intestazione «Delitto Fortuna Loffredo». Gli inquirenti hanno subito avuto la lungimiranza di capire che dietro un «ritratto» poteva celarsi la soluzione del giallo della bimba volata misteriosamente dal palazzo maledetto di Parco Verde a Caivano. Una «disgrazia», un «incidente», si affrettò a urlare il coro degli omertosi in quel diabolico 24 giugno 2014, con il corpo di Chicca sfracellato al suolo. Poi il «coro» si tacque definitivamente. Ora sappiamo che si trattò di omicidio: a spingerla nel vuoto - secondo l'accusa - fu Raimondo Caputo, il convivente della madre della migliore amichetta di Chicca. Era da lei che Fortuna era andata a giocare. Caputo la violentava da tempo. Voleva farlo anche quel giorno. Ma Fortuna si ribellò. E fu la sua fine. Un delitto consumato sotto gli occhi della stessa amichetta che era pure la figliastra di Caputo. «Mantieni il segreto», le imponevano madre e nonna. Ma lei - in un mondo di adulti vigliacchi - ha trovato il coraggio di ribellarsi: «A Chicca l'ha uccisa Titò (come veniva chiamato da tutti Caputo ndr). Lui era sopra di lei, voleva violentarla. Lei gli dava i calci. Lui l'ha presa e l'ha buttata sotto». Lì c'era anche la madre della piccola testimone, che però Titò - suo convivente - lo ha sempre difeso: «Lui non c'entra, non era neppure a casa».
Ma le microspie dei carabinieri dimostrano il contrario. La bimba che dice alla madre: «Titò mi tocca. Non voglio più dormire con lui. Mi fa male». E la madre che replica: «Non ti preoccupare, poi ti passa...». Caputo, oltre a Chicca, violentava anche lei, la sua figliastra, e anche le altre due sorelline più piccole. Per questo Titò era in carcere e la sua compagna agli arresti domiciliari. Lui abusava delle tre figliastre e lei lo copriva. Lei infame quanto lui. Le tre sorelline abusate finiscono in una casa famiglia e qui, grazie alla sensibilità di psicologi e assistenti sociali, la più grandicella (11 anni) trova la forza di disegnare l'uomo con la «faccia piena di serpenti». Quell'uomo è Titò, lo stesso patrigno che - quando la violentava - le diceva: «Chicca l'ho uccisa io». Frase che la bimba, nel palazzo dell'orrore, aveva riferito a tanti grandi: ma nessuno aveva trovato il coraggio per riferirlo ai carabinieri. Lei invece lo ha fatto. Andando anche contro madre e nonna che le dicevano: «Non imbrogliarti con la bocca. Se ti chiedono qualcosa, tu rispondi sempre: non so niente». Ma lei sapeva e lo ha detto, e lo ha pure disegnato attraverso quei «serpenti» che popolavano le sue notti di paura e tremori. Notti in cui pensava anche al fratellino Antonio, 3 anni, anche lui morto come Chicca precipitando dal medesimo palazzo dove accadono le peggio cose senza che nessuno se ne accorga. Antonio fece lo stesso «volo» un anno prima di Chicca, il 27 giugno 2013. Ora i magistrati hanno deciso di riesumare il cadavere. Anche prima di quella «disgrazia» tra i casermoni del Parco Verde si aggirava Raimondo Caputo, detto Titò. Lui ora, rinchiuso a Poggioreale, teme per la sua vita. L'altro giorno è stato picchiato dai compagni di cella. Ora è in isolamento. Attraverso il suo legale fa sapere di «temere di essere ucciso».
Nessun rimorso per la morte di Chicca. Titò ripete: «Sono un bravo padre». Parole che ti fanno quasi venir voglia di sperare nella legge del taglione del carcere. Certo meno «garantista» di quella dei tribunali. Ma uno come Titò il garantismo se lo merita?
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