Roma Battere Matteo? Detronizzarlo, sfilargli il partito, convincerlo a ritirarsi a Pontassieve a giocare a flipper? Già così si tratta di una partita difficile, anzi, quasi una mission impossible. Se poi gli sfidanti di Renzi si dividono pure, la riconquista della segreteria diventa una barzelletta. Eppure loro ci credono. Due sono governatori. Enrico Rossi, il primo a muoversi, è il presidente della Toscana, mentre Michele Emiliano guida la Puglia. Emiliano ha rotto gli indugi per ultimo adesso che ha capito che non è aria di grandi congressi visto che Renzi vuol chiudere la pratica il prima possibile. Ed ecco per lui subito la prima grana a sorpresa: il Csm lo ha appena messo sotto inchiesta perché «partecipa in forma sistematica e continuativa» alla vita dl Pd pur essendo ancora un magistrato. Si tratta tecnicamente di un «illecito disciplinare». L'udienza è fissata per il 6 febbraio prossimo. E lui s'infuria: «Sono l'unico magistrato nella storia della Repubblica italiana eletto democraticamente dal popolo come presidente della Regione, al quale la Procura generale della Cassazione contesta l'iscrizione ad un partito politico, nonostante non svolga le funzioni di magistrato da 13 anni causa l'espletamento di mandato elettorale».
Il terzo in lizza è il lucano-bersaniano Roberto Speranza, ex capogruppo del Pd alla Camera. Tutti e tre vogliono archiviare la stagione renziana, tutti e tre chiedono di spostare a sinistra l'asse del partito, tutti e tre propongono di riesumare l'esperienza dell'Ulivo, nessuno dei tre però sembra intenzionato a fare un passo indietro per unire le forze e far sì che il progetto di fare le scarpe a Matteo, che sembra l'unico collante delle varie minoranze, possa avere delle reali possibilità di riuscita. Speranza si è concesso in un'intervista a Repubblica. «Guai a staccare la spina per la terza volta a un governo del Pd». Cioè, tradotto, Paolo Gentiloni vada avanti il più possibile perché l'opposizione interna non è pronta e ha bisogno di tempo per organizzarsi e sfidare il segretario. Palazzo Chigi, oltre ai conti pubblici, al terremoto e all'accompagnamento della legge elettorale, dovrebbe occuparsi pure si «occupazione, povertà e scuola», così arriverebbe «al 2018». Nel frattempo il Pd potrebbe affrontare un vero congresso come quelli di una volta, con tanto di tesi contrapposte, mozioni e dibbattito duro. «Non basterà stavolta una gazebata di un giorno per decidere una linea e un leader».
Intanto Renzi non sta a guardare. Aspettando, oggi, la Consulta, si prepara già a guidare il dopo, e intanto frena l'intesa con Forza Italia. Infatti, spiegano i suoi, ha stoppato la manovra in Senato sull'elezione di un membro dell'Agcom.
Il capogruppo Pd Zanda aveva dato via libera a un candidato indicato dagli azzurri, ma il Pd si è messo di traverso: «Nessun accordo con Fi su un terreno - le comunicazioni - in cui è forte il sospetto di un conflitto di interessi». Ma, assicurano i renziani, «nessuna tensione con Palazzo Chigi. Gentiloni con questa storia non c'entra nulla».
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