Quella stanza fin troppo grande, quella casa che sembra dilatarsi nella luce del mattino, quando le voci dell'allegria sono finalmente a scuola, il vuoto risale nell'anima, la vita reclama i suoi ritmi banali. Ogni mattina Enrico Letta si consegna al mondo che più ama, quello degli affetti che non si raccontano. La sveglia alle sei e trenta, il frastuono di una famiglia che si prepara, l'uscita trafelata in auto verso la scuola di Testaccio che accoglie Giacomo, Lorenzo e Francesco. La scorta dell'ex premier non c'è più, perché a quarantotto anni è giusto rinunciarci senza rimpianti. Perché tutto si brucia in fretta, cariche e onori, e quel senso di potere che solo chi l'ha provato può comprendere, la dignità no.
Letta junior è l'uomo che oggi non sarà in piazza con tanti vecchi amici di altra famiglia politica. Ma neppure nell'antica stazione fiorentina scelta a simbolo del nuovo corso, la stagione dei trentenni. Beffardo il destino che ha voluto saggiare la tempra del «giovane nato vecchio», come gli dicevano agli esordi, ed enfant prodige spodestato. Ministro tra i più giovani della storia, un maestro e studi di quelli che possono assicurare a vita tappeti rossi e poltrone damascate. Invece tutto è finito in un attimo, in un maledetto lampo. Falena ferita a morte da un hashtag consegnato alla storia, «enricostaisereno», inviatogli da un giovane più giovane di lui, un parvenu della politica, uno che si era fatto da sé tra tivù, scout e riunioni di provincia. Enrico si ritrova così alle soglie dei cinquanta tra i «rottamati» di Renzi, anche se è lampante che non finirà così. Come non smette di raccomandargli Romano Prodi, uno di quelli che Enrico sente di frequente.
Dov'è finito, si chiedono gli amici di un tempo. Un paio di settimane di ritiro spirituale, una vacanza a luglio a Cefalonia con famiglia, un giro tra i fiordi norvegesi a bordo del postale ad agosto. La mamma a Pisa e i bimbi al Testaccio. Una foto di fine luglio che lo ritrae sconsolato mentre riceve il premio «Guerriero Pisano» assieme a un signore in costume (il sorriso di Enrico è un programma di tristezza, mentre il tweet recita: «Bella serata nella città che amo»). Altra laconica informazione a fine agosto: «Oggi nella sua terra, il Trentino, a ricordare un grande maestro, Nino Andreatta». Qualche sporadico intervento sul Corsera , in forma di lettera, sull'indipendenza scozzese come su «quegli spari di un anno fa, le mie riflessioni» (l'attentato nel giorno del suo insediamento a Palazzo Chigi). La sua irritazione per il nome tirato in ballo nell'inchiesta Mose. «Dove sono finito? Alla Camera a votare», scrive il sette luglio. Ma la domanda è più che legittima, perché l'attività di Letta junior alla Camera non è di quelle che lasceranno il segno. Dal 25 febbraio scorso, quando andò a votare la fiducia al nuovo governo Renzi, le sue presenze sono merce rara. In virtù del conteggio delle «missioni» (sia da premier, sia da membro della commissione Difesa), la sua percentuale di presenza in aula è tra le più basse: il 17,26 per cento. Ad agosto l'ultimo voto su una legge che porta anche la sua firma (da premier), mentre non ha presentato alcun emendamento.
Sciolta la corrente («lui non ha mai creduto alle correnti», dicono gli ex che si sono presto riciclati nel nuovo corso), sciolta l'associazione «Vedrò», diradato ogni impegno che non sia strettamente legato alla «pausa di riflessione» che sta consumando. Dal lunedì al giovedì è un deputato un po' nauseato, il venerdì vola verso Parigi, nell'oasi di lavoro che si è ritagliato al cosiddetto Sciences-Po , una delle grandi scuole per la futura classe dirigente. Il direttore Frédéric Mion non s'è lasciato scappare l'occasione di invitare l'ex premier, con rapporti personali che spaziano dalla Nato alla Bce di Mario Draghi. Insegna «istituzioni europee».
Quando l'estate scorsa c'è andato per la prima volta, Letta s'è portato moglie e figli, riassaporando il gusto di un cinema e non perdendo la partita del Psg del suo «grande, indimenticabile Ibra». La passione per i rossoneri è ciò che più lo legava al presidente Berlusconi, e non s'è certo perso la prima di campionato al Meazza, assieme ai figli. Tifoso e calciofilo «attivo», Enrico quasi ogni sabato finisce nel recinto del «calciotto», sfogatoio di un'anima irrequieta ma anche assai schermata. La nuova vita di riflessione, «perché nella vita c'è sempre bisogno di fermarsi a pensare, con calma, fuori dalla mischia», cerca occasioni all'estero e assai meno in Italia. Conferenze su temi legati all'Europa, soprattutto. In Turchia a Bodrum pochi giorni fa, a Trieste per un corso di formazione «Il cielo sopra Bruxelles» ieri. «Almeno una volta la settimana parla in pubblico», dicono gli amici. «Insegnare è fare politica» è il credo che gli deriva dalla formazione Aspen.
Vallo a far capire a quelli che s'aspettavano l'opposizione interna a Renzi, gli sgambetti in Parlamento, gli interventi fieri alla Direzione del Pd, «il partito che non lascerò mai». Per intere settimane Enrico preferisce il mondo variegato delle sue relazioni al pollaio delle polemiche: «Non mi tirate in ballo», il motto che tradisce il terrore di essere strumentalizzato.
Ancora una volta, Letta junior sgobbone studia da grande. Nato, Commissione Ue, Quirinale: al prossimo giro di giostra lui vuole tornare su. Quando il tempo correrà meno, quando ci sarà il tempo per riflettere, quando il vuoto dentro si sarà colmato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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