Entrate, governo lacerato Padoan blinda la Orlandi

Sconfessato Zanetti (Sc), che ne aveva chiesto la testa: «Verifica politica». Intanto è giallo: sono sparite 500mila dichiarazioni

RomaIl «vice» del «vice» che licenzia in nome di Palazzo Chigi, venendo smentito nel giro di mezza giornata. Un Giglio magico coltivato dal premier Renzi in persona all'Agenzia delle Entrate, che magicamente sfiorisce a pochi mesi dall'innesto e rischia di far saltare uno dei settori cruciali per il governo Renzi: la lotta all'«evasione». Proprio in un periodo nel quale l'Agenzia di riscossione è sottosopra, con 800 dirigenti in rivolta e 500mila dichiarazioni dei redditi «fantasma», per le quali sono appena partite altrettante lettere d'avviso che si propongono di risolvere il problema con mini-sanzioni. E nel frattempo sono in tanti, all'interno della squadra renziana (per non dire del Pd), a mordere il freno e dirsi preoccupati per l'innalzamento della soglia del contante contenuto nella legge di Stabilità. Infine, il presidente dell'Inps, Tito Boeri, che non perde occasione ormai per rammaricarsi di una riforma sulle pensioni che nella manovra non c'è, «eppure era indispensabile». Anche lui, fiore appassito all'occhiello del premier.

Così che dell' harahiri compiuto dal sottosegretario Enrico Zanetti, segretario politico di ciò che resta di Scelta civica (praticamente lui stesso e qualche giapponese di Monti), si può prendere per oro colato soltanto una considerazione: «Ma che razza di governo è?». Quel che succede ha dell'incredibile, ma anche molti passaggi sotterranei che indicano altre faglie in movimento nel potere renziano. Cominciamo dal principio, dalla Consulta che a marzo «degrada» oltre 800 dirigenti dell'Agenzia delle Entrate: non avevano diritto a essere nominati senza concorso e a riscuotere (alcuni per dieci anni) stipendi da 4mila euro netti al mese invece che 1700. Ennesima grana sulla testa dell'empolitana Rossella Orlandi, fortissimamente voluta da Renzi a capo dell'Agenzia nel giugno 2014. Con il premier la Orlandi vantava l'«intimità» degli sms; rapporto che in un anno e mezzo ha trovato però una serie d'intoppi (l'ultimo il casino nelle dichiarazioni pre-compilate), al punto che da un bel po' gli sms non arrivano più. La Orlandi si sente sempre meno sorretta, forse persino «scaricata». Comincia a lagnarsi in pubblico del funzionamento di ciò che da lei dovrebbe dipendere. In particolare, per la questione dei dirigenti illegittimi (che ora meditano una class action in sede Ue che potrebbe costare 60 milioni di euro all'erario). Di fronte a una situazione al collasso, nella quale si scopre che mezzo milione di contribuenti dovevano presentare la dichiarazione 2014 («padri di famiglia in lacrime e gente disperata», li ha definiti la Orlandi), la dirigente lamenta pubblicamente che l'Agenzia delle Entrate «rischia di morire».

Tace il viceministro Casero, cui spettano le deleghe su materie fiscali. Parla invece, tanto, il suo vice, sottosegretario Zanetti. Forse per questioni di visibilità «centrista», quest'ultimo va a testa bassa sulla Orlandi, chiedendo che vada via. «Continua a esternare il suo malessere, le sue dimissioni sono inevitabili. Palazzo Chigi condivide», dice. La Orlandi, dopo aver cercato invano Renzi, nei giorni scorsi s'è appellata a Padoan. Che solo ieri, tramite nota, rinnova completa «fiducia e stima» alla direttrice dell'Agenzia, che «ha un ruolo cruciale nella strategia del governo per la lotta all'evasione» e che il Mef s'impegna a «rafforzare organizzativamente e operativamente».

Per Zanetti un tonfo colossale sancito dalle parole: «Prendo atto del comunicato. Ma ora voglio un incontro dirimente e chiarificatore con Padoan e Renzi». Ha ragione: nel loro piccolo, anche le formiche hanno una dignità da difendere. Se non va via lei, che vada fuori lui.

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