Il «Fatto» molla Woodcock e si scusa con babbo Renzi

Sulle intercettazioni taroccate, il quotidiano si smarca dal capitano Scafarto: "Se ha manipolato deve pagare"

Il «Fatto» molla Woodcock e si scusa con babbo Renzi

Troppo bello per essere vero. Il sentimento del fronte giustizialista, che guardava all'indagine nata a Napoli e volata a Roma come all'arma definitiva per colpire e affondare Renzi e i suoi, è più o meno questo, di fronte alle scivolate manipolatorie sull'inchiesta Consip.

E a segnare per la prima volta un momento di rottura rispetto alla fede cieca nell'inchiesta è la chat whatsapp che inguaia il capitano del Noe Giampaolo Scafarto, braccio destro di Woodcock nella genesi partenopea dell'indagine. In quel dialogo, nero su bianco, Scafarto insiste nell'attribuire la frase su un incontro con Renzi - pronunciata da Italo Bocchino e riferita a Matteo - all'imprenditore Alfredo Romeo, cosa che l'avrebbe resa la prova dell'incontro tra quest'ultimo e Renzi senior. Nella chat, Scafarto chiede al sottoposto di riascoltare la registrazione dell'intercettazione, insiste di fronte alla certa attribuzione a Bocchino dell'altro, gli ricorda che quella può essere la pistola fumante per arrivare all'arresto del papà dell'ex premier. E nonostante la ferma opposizione del suo interlocutore, nell'informativa, alla fine della fiera, attribuirà davvero a Romeo quella frase. Non proprio un errore, come poi - interrogato dopo essere finito sotto indagine - Scafarto ha sostenuto a verbale con i pm romano: «Escludo di avere avuto nella redazione dell'informativa consapevolezza» dello scambio di persona. Difficile sostenerlo, ora.

E la gravità del punto è ammessa con onestà dal Fatto Quotidiano, che incarna sul lato mediatico il fronte di «tifosi» dell'inchiesta Consip. «Se ha manipolato, deve pagare», scrive del capitano il quotidiano diretto da Marco Travaglio in un articolo di Marco Lillo, osservando come «nell'ipotesi migliore» Scafarto «si è comportato come un accusatore ottuso e pervicace, vittima di pregiudizio».

Troppe le falle nell'indagine per proseguire graniticamente a difenderla. Un'inchiesta su una fuga di notizie che contiene al suo interno altre, infinite fughe di notizie. Tra queste, per esempio, anche l'intercettazione tra Renzi padre e Renzi figlio, ordinata da Woodcock a marzo scorso, quando pure il pm anglopartenopeo già aveva trasmesso gli atti di quel filone a Roma e avrebbe dovuto disinteressarsi dell'ex premier e dei suoi familiari. E invece non l'ha fatto. La chiacchiera padre-figlio è finita sul giornale, pur non essendo rilevante per i pm romani. Insomma, ha certamente ragione il Fatto a ribadire che, al netto degli «errori» (e delle manipolazioni) commesse nell'inchiesta, il caso Consip può ancora riservarne «delle belle» sul filone principale che tocca la politica e - tanto per cambiare - le fughe di notizia che avrebbero informato i vertici Consip dell'indagine. Però salta all'occhio proprio la mancanza di un nome. Perché Woodcock, che in quell'articolo non viene mai citato, è stato invece tirato in ballo proprio da Scafarto. Secondo il quale fu il pm a caldeggiare l'inserimento nell'informativa di un capitolo dedicato alla - inesistente - presenza di 007 che gli investigatori avrebbero avvistato nei pressi dell'ufficio romano di Romeo.

Dopo aver sperato che fosse tutto vero - barbe finte in azione, incontri tra Romeo e babbo Renzi, tintinnar di manette per il

genitore - il fronte giustizialista, al netto delle omissioni, deve ora concedere una tregua, proprio mentre Renzi rialza la voce e grida al depistaggio, smettendo di difendere l'indifendibile. Ma la guerra non è finita.

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