Sulla sceneggiata della battaglia Lega-M5s che ha scandito il ritmo dell'intera campagna elettorale il sipario è calato bruscamente. Nelle ultime ore i leader dei due partiti hanno smesso di provocarsi a distanza, di mettere in giro voci di insanabili contrasti personali tra Salvini e Di Maio, di girare ciascuno il coltello nella piaga aperta dell'altro: i 49 milioni del Carroccio, il pericolo fascista, l'accusa di dire troppi no e di essere troppo giustizialisti. Tutto svanito in un batter d'occhio, come da copione.
Negli ultimi giorni è emerso lo scenario studiato in laboratorio: la strategia dei vasi comunicanti. Lo stato maggiore grillino, di fronte al continuo calo di consensi che dissanguava il Movimento fino a qualche settimana fa, si è convinto che una strategia più aggressiva era indispensabile. E che attaccare la Lega poteva mettere in moto una trasfusione di consensi senza rischiare la salute del governo. Studiando i flussi dei sondaggi, il M5s si è persuaso che una buona parte degli indecisi oscillava tra i due partiti al governo. Ed ecco la scommessa: frenare l'avanzata della Lega recuperando terreno, ma mantenendo il consenso complessivo del governo, calcolato come somma dei voti a favore dei due alleati.
Il 4 marzo scorso, correndo da rivali, Lega e 5S avevano riportato rispettivamente il 17,4 e il 32,7 per cento. I voti raccolti su schieramenti opposti si erano poi sommati nel gioco parlamentare, dando vita al primo governo gialloverde, figlio dell'unica «coalizione» in grado di mettere insieme oltre il 50% dei voti raccolti. Un anno dopo, il baccano prodotto dal duello continuo tra Salvini e Di Maio, nelle intenzioni dei grillini è servito non solo a non alterare troppo i rapporti di forza tra i due alleati, ma anche a nascondere i risultati non certo esaltanti in campo economico, l'incapacità (quella sì autentica) di trovare accordi su un infinito elenco di dossier fondamentali, l'immobilismo sulle opere pubbliche, l'esaurimento della spinta propulsiva del «contratto» dopo Quota 100 e reddito di cittadinanza.
Solo l'apertura delle urne potrà rivelare se la cortina fumogena ha funzionato. Se andrà come previsto da Di Maio e soci, Lega avanti ma senza sfondare e M5s indietro ma senza crollare, la somma finale resterà comunque al di sopra del 50 per cento e i due leader si affretteranno a cantare vittoria per il governo gialloverde. Cosa succederà dopo non è comunque scontato. Ma ieri i due leader hanno preparato il terreno rimettendo nel fodero le baionette che si erano puntati l'un l'altro fino al giorno prima. Venerdì sera a Tribù su SkyTg24 Salvini è arrivato a dire che vorrebbe Di Maio come compagno di stanza in Erasmus: «Lui ha qualche anno in meno, io qualche anno in più. Magari, conoscendomi meglio, eviterebbe di attaccarmi ogni giorno». E poi ha benedetto la strategia dei vasi comunicanti: «La maggioranza assoluta degli italiani sostiene ancora i due partiti che sono al governo e lo vedremo domenica. La somma dei voti di Lega e Cinque Stelle supererà tranquillamente il 50 per cento».
Il finale è tutt'altro che scritto: gli elettori potrebbero decidere che un anno di
gialloverde è bastato. Oppure cambiare talmente tanto gli equilibri da spingere i partiti a reclamare più spazio. Alcuni ministri, premier incluso, attendono i risultati della trasfusione elettorale con particolare ansia.
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