Il finto addio di Di Maio. Ecco tutte le manovre per ritornare capo dei 5S

Direttorio, ticket con Castelli/Appendino o corsa solitaria. Gli Stati Generali dopo il referendum

Il finto addio di Di Maio. Ecco tutte le manovre per ritornare capo dei 5S

«Luigi non molla». I parlamentari che sono rimasti vicini a Luigi Di Maio, alcuni in lacrime durante il «discorso della cravatta», sono convinti che le parole pronunciate dall'ex capo politico il 22 gennaio al Tempio di Adriano siano un arrivederci più che un addio. Il ministro degli Esteri crede che non esistano alternative nel M5s, in vista degli Stati Generali ancora in bilico causa ritardi nell'organizzazione e comunque, lo ha annunciato Toninelli ieri sera, sicuramente dopo il 29 marzo, la data fissata per il referendum sul taglio dei parlamentari.

Intanto Di Maio ha predisposto il suo «cordone di sicurezza» per questa fase di transizione interna. Vito Crimi, capo politico reggente, ha già detto a chiare lettere al premier Giuseppe Conte che il matrimonio con il Pd non s'ha da fare. E nella tarda serata di martedì, all'inizio dell'assemblea congiunta con i gruppi parlamentari, il M5s ha scelto per acclamazione il nuovo capo delegazione nel governo. Un mezzo punto a favore di Di Maio. Dai Cinque Stelle spiegano che Alfonso Bonafede ha rappresentato una scelta di mediazione tra le anime del Movimento. Il Guardasigilli è sì vicino a Conte, ma non ha tagliato i rapporti con il leader di Pomigliano d'Arco e soprattutto è scettico sull'ipotesi di confluire definitivamente nel centrosinistra. A differenza dell'altro papabile Stefano Patuanelli, titolare del Mise, che ha parlato della costruzione di un «fronte progressista» ancora prima del liberi tutti di Di Maio. Le perplessità dei critici sono le stesse di prima. Commentando l'assemblea di martedì un deputato dice al Giornale: «È stata l'ennesima riunione inutile, una perdita di tempo». Un altro parlamentare si è sfogato: «Crimi reggente non esiste, continua a comandare Di Maio. Questi ci vogliono suicidare». Stroncato il dibattito sulle alleanze per le prossime sei regioni al voto. In Liguria, Toscana e Marche il M5s correrà da solo. Roberto Fico e i suoi stanno spingendo per un accordo almeno in Campania, con i dem che potrebbero convergere sul ministro dell'Ambiente Sergio Costa. Mentre ieri si sono aperte le candidature su Rousseau per le «regionarie».

Anche l'organizzazione degli Stati Generali è nelle mani dell'ex capo politico. Insieme a Crimi c'è Danilo Toninelli a predisporre le regole per il congresso grillino. L'ex ministro gaffeur condivide con Di Maio le perplessità sull'abbraccio con il Pd e insieme al reggente si sta occupando di regolare la possibilità di presentare delle mozioni. In campo dovrebbe esserci un documento dei «ribelli», firmato tra gli altri dal senatore Emanuele Dessì e dal deputato vicino a Fico Luigi Gallo. In forse la mozione a firma di Alessandro Di Battista. Ieri Fico ha evitato di prendere parte nella diatriba interna: «Il M5s è assolutamente unito per andare avanti fino al termine della legislatura». Il resto? «Lo vedremo agli Stati Generali». Dal fronte filo-Di Maio si è fatto sentire il viceministro del Mise Stefano Buffagni: «Se volevo stare con il Pd, allora mi candidavo con il Pd! Noi siamo il M5s», ha scritto.

Ma quali sono le strade che permetterebbero a Di Maio di rimanere in sella? Le ipotesi sono quattro: un'apertura a un organo collegiale guidato da un primus inter pares con l'ex capo politico tra i membri del direttorio.

Oppure una candidatura come capo politico benedetta dal ministro degli Esteri, in pole position tra i «dimaiani» il viceministro dell'Economia Laura Castelli e il sindaco di Torino Chiara Appendino. O ancora un ticket uomo-donna con Castelli o Appendino ad affiancare un ritorno dell'ex leader. Infine la scelta più radicale, che sarebbe ancora possibile: Di Maio in corsa solitaria per il ruolo di capo politico.

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