Roma - Scritta sui volti dei ministri, la crisi del renzismo. Fotografata nel peregrinare nei corridoi, nei crocicchi improvvisati, la crisi del Pd. L'instancabile «vice», Lorenzo Guerini, fa la spola tra qualsiasi angolo e divanetto disponibile. Parla col bersaniano Stumpo, a lungo con Franceschini in un corridoio più appartato. Poi una «vasca» con Fioroni. Il perdente volontario Cuperlo si aggira con occhi che brancolano nel vuoto, aggrappato all'iPhone. L'ex leader Bersani confabula col suo portavoce Di Traglia, «anima» dei comitati del No che hanno surclassato i renziani del Sì (anche) nella capitale.
Il governo Gentiloni, una medicina amarissima. Un olio di ricino somministrato dal furore di un Capo che molti stentano a giudicare ormai «lucido». Colpa anche dell'imposizione della ministro Boschi, giudicata alla stregua di un gesto di scherno, uno sberleffo alla già precaria compagine. «Se la Boschi non avesse fatto parte del governo, come promesso, si sarebbe dato almeno un segnale al Paese», lamenta Zoggia. La minoranza non ha tratto grandi prospettive dai colloqui con Guerini neppure sull'argomento che la tiene in fibrillazione: il congresso anticipato prima delle primarie, che potrebbero essere direttamente quelle per il candidato premier del centrosinistra, «saltando» la fase della riconferma di Renzi nel partito. Il «ragazzo» comincia a non fidarsi di averlo tutto con sé. Guerini difatti frena, non è affatto detto che Renzi si dimetta. «Stando alle regole dello Statuto - fa da sponda ormai Cuperlo -, dovrebbe dimettersi. Ma dopo lo sconquasso di questi giorni sarebbe opportuno mettere da parte le regole e aprire una civile discussione politica». L'aria che tira non sembra preludere però alla civiltà, al punto che in Senato il presidente Zanda zittisce il senatore Fornaro che voleva discutere sulle dichiarazioni «offensive per il Pd» rese da Renzi a un quotidiano.
Anche il timing non soddisfa la minoranza. «Assemblea il 18, direzione il 20, presentazione delle liste congressuali entro il 10 gennaio. E il regolamento quando lo facciamo, la vigilia di Natale?», lamenta Stumpo. E minaccia: «Se è così se lo fanno da soli. Se lo votano a maggioranza. Come le riforme, e poi si vede che fine fanno». Bersani domenica ci sarà, all'Assemblea: «Cosa mi aspetto? Quel che viene lo prendo». Non ha alcuna intenzione di ricandidarsi. Certo la fluidità delle regole non aiuta (Barca propone una «manutenzione straordinaria dello Statuto del Pd»). Candidati alternativi? Il toscano Rossi si ripropone come agnello sacrificale. Roberto Speranza spera.
Ma Michele Emiliano, stupido non è e resta in guardia. «Voglio capire prima che regole ci saranno, non è che ce lo prescrive il medico di candidarsi o non candidarsi. Certo, chi ci ha portato in questa fase non potrà stare che dall'altra parte rispetto a me».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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