Il giallo di Bonafede e Grillo sul leader sotto inchiesta

Il post sibillino di Beppe insinua che il ministro lo abbia avvisato dell'autorizzazione a procedere per vilipendio

Il giallo di Bonafede e Grillo sul leader sotto inchiesta

Uno vale uno è il principio sui cui è nato il Movimento 5 Stelle. Tranne quando si tratta di Beppe Grillo. Per il fondatore del M5s, uno strappo alla regola è concesso. Si può (si deve) imboccare una corsia preferenziale. Un pizzino che lo avvisi, prima della notifica, dell'avvio del procedimento per il reato di vilipendio. E il pizzino è arrivato dal suo allievo politico, Alfonso Bonafede, svezzato dal nuovo capo politico Luigi di Maio e piazzato alla guida del ministero della Giustizia nel governo pentaleghista.

Ieri, il Guardasigilli ha firmato 9 autorizzazioni a procedere per il reato di vilipendio, si tratta di tutte presunte offese al Capo dello Stato o alle istituzioni costituzionali. Nelle lista ci sono almeno tre persone legate a Bonafede: Beppe Grillo, Carlo Sibilia, sottosegretario all'Interno in quota Cinque stelle e Vittorio Di Battista, padre di Alessandro, ex parlamentare grillino. C'è anche il ministro dell'Interno Matteo Salvini. Il Guardasigilli ha rivendicato, dal profilo Facebook, di non aver fatto sconti ai colleghi del Movimento: «Non ho fatto alcuna distinzione e ho firmato tutte le richieste; mi chiedo come mai fossero state lasciate lì a prendere polvere oppure, come ho potuto constatare, lasciate a dormire in segreteria dopo che era stato negato il consenso. Il cambiamento passa anche da qui».

A rovinare i piani del ministro è arrivato Grillo, che 24 ore dopo l'annuncio dell'avvio del procedimento nei suoi confronti, ha svelato in un post sul proprio blog personale, di essere stato avvisato da Bonafede. Grillo, ovviamente, usa il proprio stile, tra l'ironico e il vero. Tra il sogno e la realtà. «Sono per terra, dolorante, dal buio spunta Bonafede che mi tende la mano per aiutarmi a tornare in piedi, esattamente come sogno per l'Italia. Lui mi tira su con una forza inaspettata, sono in piedi, un lieve capogiro mentre il ministro mi da piccole pacche per spolverarmi», scrive il comico. «Mi fissa con quel sorriso quasi ingenuo: Grande Beppe. Al ministero abbiamo dato un'occhiata alle richieste di autorizzazione a procedere giacenti.... Ah, interessante ma perché lo starà dicendo proprio a me? C'era anche il tuo nome, Grillo Giuseppe, nel 2014 ti hanno denunciato perché hai detto: Napolitano non deve dimettersi, deve costituirsi. Reato di vilipendio. Ho concesso l'autorizzazione», continua Grillo, rimarcando quanto annunciato dal Guardasigilli.

Grillo scherza. Ma chi può dire che non sia andata proprio così? Intanto, va rimarcato lo stile di Bonafede, diverso rispetto agli ex ministri della Giustizia, chiamati a firmare le autorizzazioni a procedere per vilipendio. Nessuno si è mai sognato di far annunci sui social o vendere un atto dovuto come un esempio di correttezza morale.

In passato, Umberto Bossi è incappato nel reato di vilipendio: nel 2011, durante un comizio, definì l'ex capo dello Stato Giorgio Napolitano un terùn. Due giorni fa, è arrivata la condanna definitiva a un anno e 15 giorni di reclusione.

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