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Il "giocattolo" e la rinuncia più dolorosa

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Per un uomo che non ha tempo di giocare, la Ferrari è gioco, il più bello che ci sia. E non si smette di giocare all'improvviso quando è tutta tua. La Ferrari è gioco perché fa tornare bambini, perché macchinette, colori, sogni sono sempre dentro di noi. Per questo il Cavallino ha avuto e ha la forza di riassumere in sé il mondo di Sergio Marchionne. La Ferrari è infatti un gioco dell'infanzia che diventa business. Di più: grande business. La Ferrari è mondo, è marchio, è glamour, è bella, è biglietto da visita, è ambasciata itinerante del nostro Paese e palco per gli uomini che la cavalcano. Per cui si è pronti a tutto, anche al brusco disarcionamento di altri, pur di montarci in sella. Così come avvenuto a fine 2014 proprio tra Marchionne e Montezemolo. Per questo, ora, mentre le voci si rincorrono, delle due certezze che le accompagnano ce n'è una che spaventa di più.

L'addio di Marchionne a FCA e a tutte le altre cariche era stato annunciato da tempo; quello alla Ferrari neanche per idea. Anzi, si parlava dell'esatto contrario. Per cui, subito, ieri, quando si è saputo della convocazione di entrambi i cda, di FCA e Ferrari, quando i nomi dei successori hanno cominciato a rincorrersi, si è compresa la gravità di tutto. Lasciare Fiat, Chrysler e la galassia automobilistica torinese era nelle cose tanto quanto nelle cose era per Marchionne approdare definitivamente a Maranello per godersi una «pensione» dorata. Da presidente, da amministratore delegato, da azionista. A inizio anno era persino girata la voce esotica di un suo interesse a comprare la Rossa.

«Sono solo menate», aveva detto. Questo per sottolineare che l'improvvisa decisione di lasciare anche la Ferrari nasconde, purtroppo molto di più. Perché è chiaro cosa si cela dietro un uomo che non ha più voglia neppure di giocare.

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