«Ho perso, e mi dimetto. Mi assumo tutte le responsabilità della sconfitta». Dopo la mezzanotte, Matteo Renzi convoca i giornalisti a Palazzo Chigi e, «a viso aperto» come aveva annunciato, tira le somme di una giornata nera, che scuote l'Italia.
Sorride, ma la voce gli si rompe e lo ammette: «Ho il groppo in gola», mentre ringrazia «il popolo del Sì» e la moglie Agnese, in piedi accanto a lui, concentrata ed elegante.
Oggi pomeriggio, annuncia, riunirà il Consiglio dei ministri e poi salirà al Quirinale a rassegnare le dimissioni: «Il mio governo finisce qui. Mi sono battuto per diminuire le poltrone della politica italiana, ma non sono stato convincente: e la poltrona che salta è la mia». In mattinata si capirà l'impatto, più o meno devastante, che la vittoria del No avrà sui mercati italiani ed europei.
Al fronte del No, che «ha vinto in maniera netta», ora «spettano onori ed oneri». Un segnale eloquente alla «accozzaglia» che si è saldata per abbatterlo insieme alla riforma, e che ora - lascia intendere il premier - deve assumersi la responsabilità di indicare una via d'uscita dalla crisi in cui precipita il Paese con l'uscita di scena di questo governo. E trovare un accordo sulla legge elettorale, che a questo punto non c'è più. Un compito improbo, anzi probabilmente impossibile, e Renzi lo sa bene. Ma «gli italiani hanno scelto», e ora chi si è battuto per il No ha «l'onere» della proposta. Quanto al governo che gli succederà, Renzi passa la palla al Colle: «Tutto il paese sa di poter contare su una guida autorevole e salda come quella di Mattarella». Quanto a lui, «porteremo a termine una buona legge di Stabilità», e continuerà ad occuparsi dell'emergenza nelle zone sismiche. Poi, «sono pronto a passare al mio successore, chiunque sia, la campanella e l'elenco delle cose fatte e da fare».
Domani si riunirà anche la Direzione del Pd, come ha deciso Renzi ieri sera con i suoi, e lì si affronteranno anche i temi interni ad un partito una parte del quale ha fatto la guerriglia al suo segretario. E in casa Pd non si esclude che decida di dimettersi anche da segretario, aprendo le danze di un congresso anticipato.
La giornata più lunga della sua carriera politica, il presidente del Consiglio la passa a casa sua, a Pontassieve, con la moglie Agnese e i figli Francesco, Emanuele ed Ester, che ieri mattina di buon ora lo hanno accompagnato al seggio a votare. Solo nel tardo pomeriggio, quando gli exit poll cominciano ad affluire e prefigurano la sconfitta, il premier decide di tornare a Roma e di affrontare «a viso aperto» il verdetto delle urne, qualunque esso sia. «Parlerò io, non sono come quei mammalucchi della politica che si nascondono». Così fa annunciare che, verso la mezzanotte, quando i trend dello scrutinio saranno più stabilizzati ed attendibili, sarà a Palazzo Chigi e terrà una conferenza stampa. Ora la partita si fa assai complicata. Perché per il Pd il problema di che fare dopo resta tutto aperto. Anche se non più premier, Matteo Renzi resta infatti il segretario del principale partito italiano, quello che lui ha portato al 40% alle elezioni europee e che oggi, a buon diritto, può annettersi per intero come proprio bacino elettorale l'intera percentuale del Si al referendum costituzionale. E senza i voti del Pd nessuna maggioranza è possibile. O lancia la sfida alla «accozzaglia del No» che lo ha battuto: «Prego, fate voi».
O le ipotesi sul tavolo restano quelle già evocate più volte: un governo Padoan, che - presieduto dal principale ministro dell'esecutivo Renzi - legherebbe le mani al Pd renziano. O un governo istituzionale Grasso, presieduto da un non politico diventato capo del Senato, che consentirebbe al Pd di non appiattirsi su di lui.