Il girotondo dell'Espresso fuori tempo massimo

Il settimanale dei De Benedetti ossessionato dalla Lega di Salvini e dal ritorno del fascismo

Il girotondo dell'Espresso fuori tempo massimo

Infilare nel giro di poche pagine un reportage dalle periferie romane firmato da Gianni Cuperlo e una paginata di Laura Boldrini sul «Big Bang progressista», un tandem potenzialmente micidiale, è una scelta editoriale azzardata ma coraggiosa. D'altronde per il lettore a cui punta L'Espresso, cioè sinistra-non-renziana-tendenzaSaviano ossessionata dal neofascismo leghista, il menù può risultare pure gradito. Con la sinistra in crisi di identità, lo storico settimanale del gruppo Espresso, per non sbagliare, si rifugia nei fondamentali: la minaccia razzista, l'umanità migrante che la destra fa morire in mare, i ricchi che affamano i poveri, la mafia che fa affari con la destra, la Lega che deve restituire i soldi, Saviano e le Ong che salvano i naufraghi, l'eterno (e soporifero) dibattito su cosa deve fare e dove deve andare la sinistra con l'eccitante sfida tra Zingaretti e Calenda. Il sovranismo xenofobo al governo ha ridato linfa ad un collaudato filone, anche giornalistico, che sembrava estinto o almeno confinato alla vecchia stagione berlusconiana: quello girotondino, stile Micromega, con venature anche di Internazionale, il settimanale di ordinanza del vero radical chic senza confini sovranisti. Il brillante direttore Marco Damilano ha puntato sulla partigianeria, tanto da farne una copertina dell'Espresso dedicata «all'esigenza di schierarsi, di prendere posizione», per l'occasione con un intervento di Aboubakar Soumahoro, il sindacalista ivoriano che ha polemizzato con Salvini sulla storia della pacchia, diventato un eroe per la sinistra dopo un'intervista a Propaganda live, programma de sinistra su La7, rete peraltro molto frequentata dal direttore dell'Espresso. Ma la copertina che ha più fatto parlare del settimanale (servono a quello le copertine poi), è stata un'altra. Quella con l'onnipresente Salvini, chiodo fisso del periodico del gruppo De Benedetti, e il suddetto sindacalista africano Soumahoro, titolo: «Uomini e no». Siccome la parola «uomini» era sovrapposta all'ivoriano e il «no» alla faccia di Salvini, qualcuno aveva interpretato il titolo come se si volesse dare del disumano al ministro dell'Interno. Lettura semplicistica, la congiunzione disgiuntiva era solo «tra chi fa politica con cinismo sulla pelle dei più deboli o dalla parte di chi rivendica le ragioni dell'umanità». Certo, il leghismo è un chiodo fisso dell'Espresso, come lo fu Berlusconi ai tempi d'oro.

Solo nell'ultimo numero ne parla Saviano nella sua rubrica (non lo cita ma parla di «barbarie», un sinonimo), lo sfotte Serra nella sua satira preventiva («Profugo veneto? Allora ti accolgo»), cui segue intervista sul populismo alla Salvini, inchiesta sul perché a Terni ha vinto Salvini, consigli della Boldrini su come battere «le volgarità di Salvini», rubrica dell'ex direttore Manfellotto su Berlusconi e Salvini. Quantomeno la linea è chiara.

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